Ti faccio nero

Sarò perentorio: secondo me Acerbi – che non è un razzista – quelle parole le ha dette, e anche se nessuna prova può documentarlo, ha commesso una stupidaggine.

Una stupidaggine perché è anche a lui nota la sensibilità, solo cosmetica, con la quale l’opinione pubblica si pone rispetto al tema del razzismo e alle frequenti campagne di sensibilizzazione.

Bene avrebbe fatto allora il difensore interista, caduto nel peccato nel momento più prestigioso della sua carriera, a fare pubblica penitenza, avvicinarsi alla salvezza attraverso il ministero celeste e attendere – con le conseguenze del caso – l’assoluzione divina.

Nella vicenda va tuttavia isolata la posizione dell’avversario. Difatti Juan Jesus, dopo la naturale reazione, ha dapprima dichiarato che la questione si era chiusa in campo con l’accettazione delle scuse di Acerbi, poi aggravato l’accusa esplicitando offese delle quali egli, tuttavia, è il solo testimone.

Questo ridimensiona la gravità del presunto insulto? No. E’ tuttavia utile a rimarcare che lui è l’unico testimone e che, da un punto di vista strettamente tecnico, è la sua parola contro quella di Acerbi.

I più attenti obietteranno che tra l’accettazione delle scuse e la replica di Juan Jesus, o meglio del suo avvocato, qualcosa sia accaduto. E’ difatti accaduto che Acerbi, respingendo ogni addebito, ha negato di aver proferito l’insulto razzista.

Una scelta quasi obbligata per chi, invocato con ambigue formule retoriche nelle interviste del dopogara, è stato sommariamente giudicato.

E allora delle due l’una: o la questione muore in campo, senza ambiguità, o si denuncia pubblicamente il fatto chiedendo l’adozione di un provvedimento. Una terza via non è contemplata.

Ma questa è solo una parte del problema, perché nel momento in cui Acerbi nega l’insulto, e giustifica il senso – più o meno credibile – delle sue scuse, il dibattito si sposta su un altro segmento.

Difatti, se Acerbi dovesse essere squalificato seguendo l’indignazione popolare, in assenza di elementi oggettivi, si esporrebbe il già decadente sistema disciplinare alle ambiguità del precedente creato.

In assenza di elementi, con quale metro si potrà in futuro indagare l’affidabilità di un calciatore che, con lo stesso espediente,  voglia danneggiare l’avversario o una squadra?

Il solito caso italiano. Un giallo.


Paul: Potremmo vincere il campionato quest’anno. Siamo primi a metà stagione, stiamo giocando alla grande, magari prenderemo una batosta o due, sì, lo so, però… Non te ne frega niente, eh?
Sarah: No no, tutt’altro: m’importa, spero che vinca il campionato, lo spero davvero! È solo che… perché mi hai mentito?
Paul: Per variare un po’: mica posso parlare dell’Arsenal ogni momento.

[Febbre a ’90, Nick Hornby]

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Classificazione: 1 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Parola di un ipocrita

Indagando la composita sfera di parenti, amici, conoscenti, è raro scorgere persone che abbiano mai fatto ammissione della propria ipocrisia. Il quesito sorge allora spontaneo: se l’ipocrisia è tanto diffusa e radicata, perché ostracizzarla? Perché non annoverarla tra le sane manifestazioni dell’animo umano? Ha davvero senso indignarsi, dissimulare, se nessuno può dirsi immune? Passaggio obbligatorio…

La Putin Doll

La Putin Doll è una linea di bambole tutte simili, interscambiabili negli abiti e nei ruoli, commercializzata da Mattel Corporation  e ideata sul modello di una partigiana filorussa. Con accessori vendibili separatamente, è – secondo le contingenze – interscambiale con tratti identitari della politica filopalestinese, filoiraniana, filosiriana. Per venire incontro alla clientela più esigente, non ha…

Rutti

Abituati come siamo a esaltare l’autoreferenza di frettolosi interpreti digitali, abbiamo a tal punto smarrito la misura dell’arte da licenziare come stolto egocentrico uno dei più abili e corrosivi autori presenti sulla scena italiana. Autore di composizioni sopraffine e di scazzi memorabili, ha da solo nobilitato l’ultimo concerto del Primo maggio lanciando strali contro la…

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Marchisio

Da qualche tempo pare che questo paese non possa più prescindere dal punto di vista di Claudio Marchisio, mite dispensatore di pensiero, di logica, di saggezza.

Una riserva di riflessioni retoriche e indignazioni pronte all’uso che, intrappolate nella meccanica dei social, lo hanno elevato a pastore del nuovo tempo, erede gentile della tramontata morale pentastellata.

In principio furono le posizioni sul fenomeno migratorio, poi l’intervento sulla maestra torinese vittima di un episodio di revenge porn, a seguire la pandemia. L’ultima divinazione sulla tragedia di Seid Visin, il ventenne di origini etiopi morto suicida a Nocera Inferiore. Dramma frettolosamente declinato in chiave razziale.

«Un Paese che spinge un giovane ragazzo a fare un gesto così estremo è un Paese che ha fallito. Facciamo tutti schifo. Di destra, di centro, di sinistra,» scrive un farfugliante Claudio Marchisio commentando una lettera scritta dal ragazzo due anni prima, parossismo di uno sfogo che i genitori escludono essere direttamente riferibile al razzismo.

Venti di profezia parlano di nuovi dei che avanzano.
[Franco Battiato]


Classificazione: 1 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Ti faccio nero

Sarò perentorio: secondo me Acerbi – che non è un razzista – quelle parole le ha dette, e anche se nessuna prova può documentarlo, ha commesso una stupidaggine. Una stupidaggine perché è anche a lui nota la sensibilità, solo cosmetica, con la quale l’opinione pubblica si pone rispetto al tema del razzismo e alle frequenti…

Sinner, il sardo

Ha preso il via nei sinuosi tornanti di Scala di Djokovic, che dalla centoTrentino immette a Sassari, il battesimo elettorale di Ghjuannik Sinner, nella sorpresa generale candidato alla Presidenza della Regione Sardegna. Atterrato a bordo di un Boeing 737-200 nello scalo di Isili, sede della compagnia di bandiera EasyliJet, ha salutato deferente il pubblico distribuendo…

Il cane dell’ortolano

Sembrano ispirarsi più alla drammaturgia spagnola che alle sorti della Regione, lacerata da consumate alchimie elettorali, le iniziative che accompagnano la classe politica teresina al voto. Come il cane dell’ortolano, che non mangia né lascia gli altri mangiare, la generosa proposta di nomi e simboli rischia infatti di prosciugare le già aride risorse locali, sottraendo…

Ahi Mami

E

E guando dramonda il sol
Una ganzone d’amor
Ber Golombo navigador
Oh Mami, ber te ganderò

Col vento è andata via
Col vento è venuta giù
Col vento Colombo è caduto a faccia in giù
Ahi Mami, ci mancavi anche tu

A Palos mi han detto parti
Nostromo vai per l’India
Il timone lo reggono a letto
Niña e Pinta in tutù
Santa Maria, chi mi manca sei tu

La notte amo navigare
Per trasportare gli schiavi miei
Da qualche tempo bevo più di Hemingway
Ahi Isabella, ma tu non ci sei.

Un ammiraglio nostrano
Sulla statua della libertà
Domani è un altro giorno non solo per me
Ahi Mami, il razzismo cos’è?

E quando tramonta HBO
Una pellicola di color
Salpando a Salvador
Oh Mami censurò
Ahi Mami, por ti sbiancare’

Il ricordo mi fa un po’ male
Di Bogino che torturò
Di Carlo Felice la statua il sardo spostò
Ahi Mamì, di mirto è il liquor

La mia cameriera nera
Piangendo mi confidò
Che non approvava la pianta del coton
Ahi Mami, che bianco è il coton

L’Egitto era lontano
La piramide qui non c’è
Ma il vecchio svizzero dei Moretti ha predetto che
Ahi Mami, li farai tu per me

Sebbene ho più soldi in tasca
E più crimini che in C.S.I.
Se metti il ginocchio sul collo non respiro più
Ahi Mami, non provarci anche tu

E guando dramonda il sol
Una ganzone d’amor
Ber Golombo navigador
Oh Mami ganderò.
Oh Mami por ti sbiancare’

C’era Leopoldo secondo
I cavolini portò da Bruxelles
Sotto una vecchia colonia
Sfruttava il Congo e cantava per me

Winston Churchill alla radio
In un armadio provava il suo show
Trattava da bestie gli indiani
Ma a Norimberga i nazisti esiliò.

Il navigatore distratto
Cercava le Indie e trovò Donald Trump
Un tipo assai pingue
Che voleva le Indie in USA.

Mi disse un vecchio africano
Vittima di uno scafista in gilet
Mi consigliò di non partire
Scomodo come un boing Ryan Air

C’era una bambina abissina
quattordicenne di nome Destà
Sopra un vecchio pagliaio
Intonava Eja Eja Alalà

Un Montanelli a Milano
Con l’Olivetti scriveva il suo show
George Floyd distratto
Asfissiava il gatto
Asfissiava il gatto come un kapò
Asfissiava il gatto
Zampetti adirato
C’era una donna in Virginia
Una nera faccetta
Un sentimento deviato
Un vecchio sabaudo
Un vecchio sabaudo
Rossella O’Hara
Che faceva gang bang
Sotto il gilet
Un genocidio più a sud
Un negroni corretto
Il navigatore distratto
Uno faceva la statua
l’altro Abbatteva la statua
Ahi Mami
Ahi Mami


Terzo tempo

Una  piccola storia ignobile, direbbe Francesco Guccini, così solita e banale  che non meriterebbe  nemmeno due colonne su un giornale. E l’episodio di Trinità d’Agultu quelle colonne non le avrebbe meritate se l’ossessione di fare notizia non avesse inquinato il giornalismo.

L’ episodio degli atleti africani insultati durante l’incontro Trinità d’Agultu – Santa Teresa [seconda categoria], per quanto deplorevole, e per quanto sia impopolare affermarlo, lo inquadro in quella franchigia del male congenita all’agonismo, a quel furore che nulla ha da spartire  con l’odio razziale.

Se la mettiamo su questo piano, badate, dall’accusa di razzismo non esce vivo nessuno. Chi almeno una volta nella vita ha frequentato un campo di calcio o un  bar dello sport conosce le tensioni connaturate al tifo sportivo; situazioni estreme in cui anche un gesuita rimetterebbe in discussione i fondamentali della civiltà.

E’ un problema di educazione, non di odio. Gli africani di oggi  sono gli slavi di ieri, i rumeni, i napoletani, i sardi. Anche se l’insulto rivolto ai sardi si presta a un’analisi più elaborata, perché correlata a precisi fattori  endemici: una cosa è essere sardi di Lodè, altra è essere sardi di Orgosolo. L’offesa ha le sue sfumature.

L’argomento è comunque da maneggiare con cura, meglio se con una punta d’ironia, tanto più in  un momento in cui il razzismo fluttua nel pelago elettorale, con tratti di pericolosità associati alla mancanza di originalità. Come certi contributi giornalistici.

Neri per casa

Per nostra fortuna, parafrasando Ennio Flaiano, in Italia la situazione è grave, ma non seria.

Ne ho avuto sospetto qualche tempo fa quando,  indagando l’indigesta retorica che accomuna il richiedente asilo al criminale, mi chiedevo quanti chili di negri occorressero per fare un bianco; ne ho avuto conferma in questi giorni, con un episodio che brilla più per comicità che per pregiudizio razziale.

Per discrezione, e per non tradire il rigore deontologico dovuto alla mia  inusitata escursione nelle lande di Sardegnablogger, tacerò il luogo del misfatto e con esso ogni riferimento a un episodio di criminalità ordinaria accaduto a SANTA TERESA, dove un ladro si è introdotto all’interno di un’abitazione mentre gli occupanti dormivano.

Traendo spunto dall’arresto di un delinquente che da tempo imperversava in gallura, e stimolato dalle considerazioni del curatore di questo Blog – il Direttore Totale Dott. Ing. Gran Mascalzon. Di Gran Croc. Visconte Giorgioni -, a sua volta abile a raccogliere la delusione di chi – scontrandosi con la cronaca – ha dovuto prendere atto che il criminale non solo non apparteneva ad alcuna delle etnie sospettate dalla popolazione residente, ma era un italiano;  traendo spunto da quell’episodio, dicevo, ho ricamato la narrazione con  alcuni spunti di riflessione.

Ma perché, nella sua portata comica,  il caso di Santa Teresa è emblematico? Lo è perché illustra quanto il pregiudizio abbia sconfinato il perimetro della lucidità, negando finanche le più elementari informazioni antropologiche.  Infatti quando il miagolio del gatto ha svegliato il proprietario, questi, scorgendo l’intruso,   ha urlato e messo in fuga  il ladro, che ha poi rincorso urlandogli: «Negro di merda, se ti prendo ti faccio diventare bianco». Minaccia rivelatasi tanto persuasiva da aver alterato le connotazioni somatiche del criminale, che infatti era bianco; più del suo inseguitore.

Eppure gli indizi deponevano a favore di quell’estrazione etnica, da continente nero:  alto come un tappeto, non molto grosso e,  arrori du tiridi, attrezzato come un sardo, avrebbe detto la concupiscente Mariana del  marocchino di Benito Urgu.

Era un bianco, uno sporco bianco, uno di quei bianchi che se li prendi poi li fai neri. Uno di quei bianchi ai quali il negro o il rom fanno comodo perché gli garantiscono una franchigia morale, un balsamo per i rischi connaturati all’attività delinquenziale. Un po’ come quelli che scorreggiano e danno la colpa al cane.

Atteggiamento che tuttavia  degenera in pericolosità sociale quando a strumentalizzarlo è la politica per produrre consenso. Il luogo comune che assurge a precetto biblico inaridisce i sentimenti, crea distanza tra le persone e distribuisce i buoni  da una parte e  i cattivi dall’altra. Noi con Salvini, You soli.

Ma per fortuna, dicevamo, in Italia la situazione è grave, ma non seria.

 

[contributo pubblicato il 01-10-2017 su sardegnablogger: http://www.sardegnablogger.it/neri-casa-alessandro-muntoni/]


 

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Di mercoledì /3: Harry ti presento Sullay

[una rubrica poco utile] 

senzanome

 

Harry ti presento Sullay

La buonanima di Vujadin Boskov avrebbe detto che «se tu bloccare Cagliari – Pescara per insulto di cretini , a gente non fregare un cazzo. Solo giornalisti parlare per due minuti».

Liberiamo subito il campo dalle polemiche: il razzismo è un atto deprecabile, i cori razzisti sono gretti e incivili,  l’arbitro è in campo per comandare. Se tu, Sulley, per fondate che siano le tue ragioni, vieni esortato a non interloquire con il pubblico e lo fai; accusi l’arbitro di non avere le palle e lo apostrofi con uno sprezzante «chi cazzo sei?»; abbandoni il campo; davanti alle telecamere affermi che se l’arbitro non fosse stato tale sarebbe sotto terra, tu Sulley, esattamente, perché non dovresti essere squalificato?

E’ un problema culturale, di educazione. Educazione di tutti. Anche di Sulley.

Non fare come Sulley. Rimani in campo.

Un chilo di negri

Quanti chili di negri occorrono per fare un bianco? Molti, evidentemente.

Se ci indigniamo per il negro che indossa un paio di scarpe o che utilizza un telefono cellulare,  e quasi non fa notizia il nigeriano ridotto in fin di vita da un civilissimo bianco, italiano,  la cui  ferocia si è protratta al punto di lesionarsi le mani, l’interrogativo è d’obbligo perché sintomo di una depravazione.

Depravazione che l’uomo bianco germina con il pregiudizio, con la sbrigativa immedesimazione del richiedente asilo con il terrorista, l’invasore, l’usurpatore; mitigando il sacrificio di chi, soggiacendo  a un’impietosa profilassi, si affida ai  mercanti di uomini.

La misericordia non è contemplata  per  il negro. E’ negro! Deve vivere da negro. Deve indossare stracci, pago a un pugno di crusca, a poche comodità. Niente telefono, niente autobus, e se possiede una bicicletta, statene certi, l’ha rubata. Poco importa se quel tale ha una laurea in medicina, parla tre lingue e il suo italiano è più fluente del nostro: è  un negro.

Sarà che il pensiero del razzismo è esso stesso il piacere, ma guai a chiamarli razzisti. Chiamateli contribuenti. Non è insolito che l’italiano per giustificare le sue aberrazioni si schermi dietro la contribuzione. Come se lo status di contribuente fosse un esimente morale o criminale. Un dettaglio tuttavia non trascurabile per i primatisti dell’evasione fiscale in europa.

I miei compaesani ricorderanno l’arrivo dei primi migranti a Porto Pozzo, ricorderanno la tirata retorica sull’invasione dei negri, i millantati borseggi a scapito di anziane signore, l’ombra degli stupri, le malattie. Non è successo nulla.

Ma se il tenore delle argomentazioni locali è questo, nel resto del mondo le cose non vanno meglio. E non solo per i muri. Circola da qualche tempo una linea di pensiero, un compendio dell’andrologia cranica internazionale, in cui, stimolando un ripensamento della Legge Basaglia, si teorizza che lo sbarco dei migranti sulle nostre coste sarebbe funzionale a un programma di sostituzione della razza europea con quella africana. Che stupidi! Come abbiamo fatto a non capirlo prima. La sostituzione della razza.

Con queste premesse, converrete che un’interlocuzione è difficile. Non rimane che l’ambulanza, gli infermieri, il trasporto in reparto.

E allora, amico che leggi questi contenuti, e magari li approvi, fai una scelta consapevole: adotta un razzista, aiutalo a relazionarsi, non esacerbare  il suo animo, edulcora la banalità del suo frasario, tingi la sua vita di colore.

Il razzista non è un diamante, non è detto che lo sia per sempre.


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La toscanata

Nello strascico maleodorante che ha accompagnato il finale di Napoli – Inter, quarto di finale di coppa Italia, pur di non stigmatizzare la  deplorevole condotta dell’allenatore Sarri, qualche commentatore ha tentato di derubricare gli insulti rivolti a Mancini a rango di toscanata. Lo stesso Sarri, che non fa della simpatia la sua cifra stilistica, ha ridimensionato l’episodio a “cose da campo che dovrebbero finire lì”, perché così gli hanno insegnato.

Cose da campo un cazzo, amico  mio. Va bene, sei Maurizio Sarri, non il professor Zagrebelsky, sarai pure un uomo di quartiere, è vero che ti vesti come un profugo, sarai pure un uomo rude, benissimo, ma sei un allenatore di serie A. Hai delle responsabilità.

E poi, fino a che punto può spingersi la toscanata? E’ vero che certe espressioni sono state assorbite dal linguaggio corrente e non sempre covano un’ indole omofoba, ma a sessant’anni un briciolo di capacità di discernimento sull’opportunità di dire o non dire certe cose è legittimo aspettarsela. A parte la superficialità di Tavecchio, a cui potremmo concedere l’attenuante psichiatrica, stimolò ugualmente il dibattito  la leggerezza con la quale Cassano, col sorriso sulle labbra, si pronunciò sulla presenza di omossessuali in nazionale;  o la sortita con la quale Berlusconi, in un contesto evidentemente goliardico e non rabbioso, ironizzò sul tema. Ma si intuiva che quelle parole non manifestavano un intento discriminatorio. Erano minchiate da bar.

Ecco allora che, senza drammatizzare, assume un’importanza apicale il contesto in cui l’epiteto viene rivolto; e nel caso di Sarri non rinvengo né ironia né il proposito di sensibilizzare il dibattito sulle unioni civili, che secondo l’allenatore del Napoli è forse una storia per parrucchieri, una storia un po’ sputtanata, una storia sbagliata.