Il demone

La beffa più grande che Simone Inzaghi abbia allestito dal suo approdo alla guida dell’Inter, parafrasando Keyser Söze ne I soliti sospetti, è stato convincere il mondo che lui non esistesse.

Non esisteva quando, immersa nell’amnio del recente passato, la Juventus richiamava al capezzale Massimiliano Allegri.

Non esisteva quando, per allineare i bilanci a più sostenibili parametri, la società lo esponeneva a dolorose cessioni: Lukaku, Brozovic, Skriniar, Perisic, Dzeko.

Non esisteva quando a ogni ridimensionamento corrispondeva, in misura inversamente proporzionale, il miglior rendimento della squadra e di giocatori fino a quel momento giudicati marginali, se non derisi.

Non esisteva quando il dibattito sportivo degenerava in livorose analisi sulle stabililità economica e manageriale dell’Inter; che in base alle accreditate valutazioni di sedicenti esperti di finanza, da almeno quattro anni, avrebbe dovuto portare i libri contabili in tribunale.

Un torrente di considerazioni che, ribaltate dalle recenti cronache, asseverano quanto la materia contabile non sia alla portata di tutta la comunità.

Da essa l’incauta ironia di chi farneticava che l’Inter non avrebbe dovuto essere iscritta al campionato per violazione delle norme FIGC e UEFA; salvo poi rilevare, con una pronuncia del Tribunale, che la squadra che concordava la falsa rinuncia agli stipendi per sistemare le sofferenze era un’altra.

Per completezza d’informazione, in quella fase storica, l’Inter onorò tutti gli stipendi, senza decurtazioni. Concordò uno slittamento di due mesi per far fronte ai mancati introiti generati dalla chiusura degli stadi.

Mentre il tumulto si consumava, serafico, il Demone assisteva al corso degli eventi; come il Prodi guzzantiano stazionava davanti al semaforo, fermo, immobile.

Nessuna voce lo turbava. Non le polemiche contingenti, non l’avanzata età del suo esercito, non la turibolazione pioliana, non le danzanti puttane televisive, non le guardie e i ladri, non i cavalli.

Fermo, paziente, sotto la l’aura mistica della seconda stella.

«Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l’azzurro sullo sfondo d’oro delle stelle. Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo.»


copertina: Alberto Mariani – Creative Designer



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  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Parola di un ipocrita

Indagando la composita sfera di parenti, amici, conoscenti, è raro scorgere persone che abbiano mai fatto ammissione della propria ipocrisia. Il quesito sorge allora spontaneo: se l’ipocrisia è tanto diffusa e radicata, perché ostracizzarla? Perché non annoverarla tra le sane manifestazioni dell’animo umano? Ha davvero senso indignarsi, dissimulare, se nessuno può dirsi immune? Passaggio obbligatorio…

La Putin Doll

La Putin Doll è una linea di bambole tutte simili, interscambiabili negli abiti e nei ruoli, commercializzata da Mattel Corporation  e ideata sul modello di una partigiana filorussa. Con accessori vendibili separatamente, è – secondo le contingenze – interscambiale con tratti identitari della politica filopalestinese, filoiraniana, filosiriana. Per venire incontro alla clientela più esigente, non ha…

Rutti

Abituati come siamo a esaltare l’autoreferenza di frettolosi interpreti digitali, abbiamo a tal punto smarrito la misura dell’arte da licenziare come stolto egocentrico uno dei più abili e corrosivi autori presenti sulla scena italiana. Autore di composizioni sopraffine e di scazzi memorabili, ha da solo nobilitato l’ultimo concerto del Primo maggio lanciando strali contro la…

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Hay coincidencias!

Nel 2023 il percorso europeo dell’Inter è stato di 7 vittorie, 3 pareggi, 2 sconfitte. Come nel 2010.

Quest’anno l’Everton si è salvato per la terza volta nella sua storia. Nelle precedenti due occasioni, il 1994 e il 1998, sapete chi vinse la Coppa Uefa?

Nel 2023 l’Inter ha perso 3-1 con una squadra del sud Italia in prossimità di una partita di Champion’s e con un’espulsione. Come nel 2010.

Nel 2010 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato terminata la pandemia di influenza H1N1. Il 5 maggio 2023 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato ufficialmente la fine dell’emergenza Covid-19.

Simone Inzaghi prima della finale di Champion’s ha vinto quattro trofei in due anni. Mourinho prima della finale di Champion’s aveva vinto quattro trofei in due anni.

Nel 2010 una forte scossa di terremoto ha colpito la Turchia. Lunedì 6 febbraio 2023, sempre in Turchia, un forte terremoto ha devastato ampie zone del paese.

Nel 2010 la Coppa Italia è stata decisa da un giocatore argentino contro una squadra di centro Italia con un gol di scarto. Come nel 2023.

Simone Inzaghi ha 47 anni. Josè Mourinho nel 2010 aveva 47 anni.

L’anno prima di vincere la Champion’s Lague, l’Inter era stata eliminata agli ottavi da una squadra inglese che poi ha perso la finale contro una spagnola. Come lo scorso anno.

Quest’anno l’Aston Villa si è qualificata per l’Europa. L’ultima volta accadde nella stagione 2009/10.

Il Milan non batteva la Juventus nelle gare di andata e ritorno dal 2010.

Il Milan, in tutta la sua storia, ha giocato 14 semifinali di Champion’s League perdendone solo 3: Real nel ’56, Barcellona nel 2006, Inter nel 2023. Real e Barcellona, poi, alzarono il trofeo.

Nella stagione 2009-2010 la Juventus uscì dall’Europa League dopo essere arrivata terza ai gironi di Champion’s. Con il Maccabi Haifa.

Nel 2010 l’Etna fu interessato da un’ intensa attività eruttiva. L’ultima attività vulcanica è del maggio 2023.

Come nel 2010 l’Inter aveva un camerunense in squadra.

Lautaro (stagione 2022-23) e Milito (stagione 2009-10) hanno entrambi fatto il loro 21°simo gol in campionato nella 37ma Giornata.

Il Liverpool nel 2016 ha perso la finale di europa league con il siviglia subendo tre reti.
Tre anni dopo, nel 2019, ha vinto la champions league. Quale altra squadra ha perso una finale di europa league subendo tre reti contro il Siviglia e tre anni dopo si gioca la finale di champions?

L’Inter, come nel 2010, giocherà la finale con la maglia nerazzurra.

Para el que necesita coincidenza, hay coincidencias!
Para el que cree en el equipo, hay equipo
!

Esperemos que no sea un Calippo!

(R) copertina di Rupertgraphic


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Sinner, il sardo

Ha preso il via nei sinuosi tornanti di Scala di Djokovic, che dalla centoTrentino immette a Sassari, il battesimo elettorale di Ghjuannik Sinner, nella sorpresa generale candidato alla Presidenza della Regione Sardegna. Atterrato a bordo di un Boeing 737-200 nello scalo di Isili, sede della compagnia di bandiera EasyliJet, ha salutato deferente il pubblico distribuendo…

Il cane dell’ortolano

Sembrano ispirarsi più alla drammaturgia spagnola che alle sorti della Regione, lacerata da consumate alchimie elettorali, le iniziative che accompagnano la classe politica teresina al voto. Come il cane dell’ortolano, che non mangia né lascia gli altri mangiare, la generosa proposta di nomi e simboli rischia infatti di prosciugare le già aride risorse locali, sottraendo…

La quantistica inzaghiana

Nessuna esperienza più dell’ultima stagione di Simone Inzaghi sulla panchina dell’Inter, capace di cadute rovinose e risalite prodigiose, può meglio rappresentare la caducità, il principio di incertezza della fisica quantistica.

Gloria e tragedia sospese sulla linea del destino.

Come il gatto di Schrödinger, esposto al caso, all’arbitrio del veleno, Simone Inzaghi è contemporaneamente vivo e morto, trionfante e fallito, sull’altare e sul patibolo.

Fintanto che la scatola rimarrà chiusa, in un fluttuante non stato esistenziale, tra la gloria dei padri e l’infamia dei vermi,  attende tremante  che la sorte si compia.

Viva l’Inter! Viva Inzaghi!


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Gigi Riva

La storia di Gigi Riva è una storia di calcio in cui il calcio diventa marginale. E’ una storia di gratitudine, di verticalità morale, di passione. Non esiste sardo che, pur non avendo vissuto la sua grandezza sportiva, non lo abbia amato o non abbia almeno un aneddoto da ricordare: la sciarpa di un padre,…

Bestemmie

C’è un dato che incontrovertibile emerge dalle polemiche di questi giorni: dal caso Ferragni all’affaire Lucarelli, dall’improvvida iniziativa di Fedez al commissariamento delle attività di Alviero Martini. Il dato incontrovertibile è che le bestemmie funzionano, e non vi è persona, impresa o entità che possa dirsi immune. Impermeabile a ogni alchimia moderna, la bestemmia ha conservato…

Alla cena del MES

Alla cena del MES, con due colpi Un operaio il Deputato sparòAlla cena del MES, con due colpi Un deputato la scorta spuntò. E venne Del Mastro che urlò “Che cazzo hai fatto?!”Al Deputato che il colpo sparò.E venne Del Mastro che urlò “Che cazzo hai fatto?!”Al Deputato che lesto negò. Alla cena del MES,…

Di culi e altre nefandezze

L’amicizia con Giuseppe Porceddu, e di pari grado quella con  Tarcisio, ha rappresentato, e ancora rappresenta, un  incontro tra cazzari impenitenti. Come quei perditempo che stazionano nei bar di paese, ricamando fantasie e allusioni sui passanti.

Componendo rime oscene e strampalate,  ci siamo accusati delle cose più turpi, di latenti tendenze omosessuali, favoleggiando di suore ninfomani, di preti perversi, di governanti petomani.

Conoscevo Giuseppe da molto tempo, ero ancora un bambino. Lo ricordo d’estate  alla cassa del pastificio di sua cugina Rita; appostamento dal  quale  con sguardo fermo e fascinoso  ammaliava amici e clienti.

Conoscendo la mia famiglia, mi riservava l’altera attenzione che istintivamente i grandi dedicano ai bambini. L’amicizia che vado a celebrare è nata poi, almeno trent’anni dopo, complice l’abbattimento delle distanze temporali e anagrafiche e il confuso suo approccio con la  tecnologia.

La brama affabulatoria, la cultura classica fieramente ostentata, s’impantanavano difatti nel governo del telefono. Invertiva accenti e virgole, dimenticava articoli, scriveva in pubblico commenti che pensava di aver inviato in privato. Una parola non sbagliava mai: culo. La parola culo, in ogni sua declinazione,  Porceddu non l’ha mai sbagliata.

La spinta emotiva della sua morte, il romanticismo di farsi seppellire a Santa Teresa, mi ha ricordato quei momenti di leggiadria, di empietà, di stornelli irriverenti e sconclusionati, frattaglie di un’ ironia al contempo elegante e oscena, ma mai  banale. Anche parlando di culi e altre nefandezze non lesinava riferimenti e citazioni colte.

C’erano poi l’Inter e la sinistra, le sue puttane.  «Si vede che m’innamoro solo di meretrici», mi disse.

Il componimento che segue non è certo il suo testamento intellettuale, avendo l’uomo ben altra levatura, ma tradisce quello sguardo giocoso con il quale ammirava il  mondo.

Ciao, Giuseppe.


ABBANDONO
(di Giuseppe Porceddu)

Miei cari amici Poggi Pani e Muntoni
Vi confesso che mi sono rotto i coglioni
Sul finire dell’esistenza mi sono convertito
Un bel monastero ho scelto come sito
Qui tra frati guadenti e suore ardenti
Dimentico angosce e tormenti
L’unico fastidio l’arreca fratello Iulo
Che ad ogni ora m’attenta il culo
Ma sull’impervia via della santità
Son sicuro che redimendosi desisterà

Pace e pene a tutti! 



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Scrittori e Pandori [calendario Duemila23]

La cattura e la morte di Matteo Messina Denaro, l’intelligenza artificiale, il complottismo di Red Ronnie, i Generali scrittori, il pandoro di Ferragni. Per la portata del fenomeno e le sue incognite, l’intelligenza artificiale reclama e si aggiudica la copertina dell’anno. Un congegno aberrante o una nuova opportunità? GENNAIO [16 GENNAIO] ‘U siccuDopo trent’anni di…

Befañez

I dettagli sono ancora in via di definizione, ma è una questione di ore: quest’anno Babbo Natale dismetterà il tradizionale abito rosso e i rubicondi tratti iconografici per esibire una più sobria casacca di colore grigio: un pregiato capo del brand Laneus, che ridefinisce nello stile e nei colori l’imminente atmosfera natalizia. Una linea più…

L’arte della difesa

E’ davvero istrionica e mai banale la scelta comunicativa di Massimiliano Allegri, l’allenatore più pagato della serie A, con il monte ingaggi più costoso della serie A, artefice di vittorie eclatanti e cadute rovinose. Un impegno logorante, il suo, che assistendo all’indebolimento di consolidati meccanismi feudali, scaltro sposta sugli antagonisti la paura e l’onta del…

Un’emozione da poco

C’è più dignità nel cinismo contabile di Mino Raiola, nella sua sfrontata imprenditorialità, che nell’addio di Romelu Lukaku all’Inter, nel cui saluto si addensa la consumata retorica dell’uomo muscolare.

A poco serve l’esaltazione maschia, il culto del fisico, se fuori dal duello quella parvente personalità viene meno. Ha preferito l’assenza, il silenzio, culminato in una fuga cinematografica, portato in salvo dal tetto dell’ambasciata pastorelliana, con la promessa di un messaggio e la speranza di recuperare un residuo di decenza.

Congedo che, beninteso, non lede la professionalità del calciatore, le prestazioni che ne hanno esaltato l’icona e il ruolo; ma non si è atleti fino in fondo se non si è prima uomini.

Se le motivazioni, come ha scritto, erano di tipo sentimentale, i tifosi, superato il moto d’inquietudine, avrebbero compreso. Avrebbero forse accolto anche le ragioni economiche. Abbiamo tutti consapevolezza che l’industria del calcio è al collasso, le società italiane non hanno i mezzi per duellare con oligarchi russi o proprietà arabe. Qui si vive alla giornata, i prezzi e le opportunità li decide il mercato. Se a Parigi si allestiscono squadre faraoniche, nel Belpaese non bastano quattro mesi di mediazione per il prestito biennale di Manuel Locatelli.

Comprensibili allora le motivazioni sportive, non essendo l’Inter equipaggiata per ambizioni più nobili; comprensibili le ragioni finanziarie, a Londra percepirà il doppio di quanto percepiva all’Inter; comprensibili i richiami ancestrali, tuttavia stonanti con il tempo in cui al Chelsea di Antonio Conte preferì il più titolato Manchester City. Incomprensibile è il comportamento delle ultime ore.

Perché ingannare la tifoseria ostentando amore alla città e alla squadra? Perché annuire ambiguamente alle richieste di fedeltà? Perché recitare la farsa del Salvatore mentre il procuratore trattava il trasferimento con altre società?

E’ arrivato a Milano tra lo scetticismo generale, tra le perplessità di chi riteneva che la valutazione non fosse incoraggiata da talenti specifici; se n’è andato nel peggiore dei modi, da codardo, come certi invitati che alle feste scorreggiano e si allontanano dal ballo.


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La medicina totale

Un giorno, la signora che fa le pulizie al poliambulatorio, presidio sanitario del paese, costruito da uno degli architetti più importanti dell’architettura totale gallurese dell’epoca, scrive una lettera e la indirizza all’Assessore Regionale e al Direttore Generale della ASL della Gallura. Tra le pagine della lettera inserisce una foto. Signori, lo vedete questo ragazzo che…

Il tacco Bianco

C’è qualcosa di calviniano nelle città della Puglia, nel bianco lucente che resiste al tempo e alle contaminazioni. E’ bianca Altamura, terra di frontiera tra Puglia e Basilicata, teatro di una vivace contesa con la città di Matera sull’arte del pane. E’ bianca Ostuni, dove dimesse insegne novembrine richiamano la memoria di un’estate felice. E’…

Ogni volta

Ogni volta che esortiamo a non dare importanzaOgni volta che ci rifiutiamo di comprendere uno stato emotivoOgni volta che incoraggiamo imprese impossibiliOgni volta che ci sentiamo invincibiliOgni volta che diciamo: “fregatene!”Ogni volta che umiliamo gli sconfittiOgni volta che facciamo pressione psicologicaOgni volta che deridiamo chi soffre per amoreOgni volta che: “l’hai visto quello?”Ogni volta che…

Gli scontati

La notizia del mattino, l’annuncio della morte di Tarcisio Burgnich, pilastro della Grande Inter, eroe di Italia-Germania 4 a 3, non poteva essere presagio di buone notizie. Presagio che si è compiuto nel tardo pomeriggio con l’annuncio ufficiale della risoluzione del contratto tra Antonio Conte e la Federazione Calcio Internazionale Milano.

Un progetto naufragato nel pelago di una crisi finanziaria che ha travolto l’intero mondo del calcio, benché nella dimensione parallela descritta dai giornali italiani riguardi solo l’Inter.

Inevitabile come la morte, è nel frattempo iniziata la partita delle colpe. Disciplina tanto diffusa nell’Inter, quasi da passare inosservata.

Pur capendo l’amarezza dei tifosi, che a poche ore dal diciannovesimo scudetto hanno assistito inermi all’allontanamento dell’artefice del trionfo, trovo onestamente incomprensibile il risentimento nei confronti della proprietà. Per almeno due ragioni. Da un lato perché, in un contesto pandemico e di necessaria austerità, l’equilibrio finanziario non è sacrificabile sull’altare della competizione; dall’altro perché se l’Inter è riemersa dalla periferia del calcio, il merito non può che ascriversi alla famiglia Zhang.

E’ Suning che nei cinque anni di gestione, senza trascurare la finale europea dello scorso anno, ha riportato l’Inter ai vertici del campionato italiano, facendola crescere, valorizzando il marchio, aumentando la qualità della rosa con giocatori di livello mondiale. Risultati conseguiti elaborando un piano di crescita concertato con il più autorevole dirigente sportivo italiano, Giuseppe Marotta.

Operazioni non più conciliabili con le immutate ambizioni di chi, astraendosi dalla realtà, nonostante l’azzeramento dei ricavi, pretende investimenti sontuosi e declina il temporaneo ridimensionamento degli stipendi. Una condizione complessa rispetto alla quale impressiona la docenza di chi, incapace di gestire la propria attività, vorrebbe impartire lezioni di economia aziendale a un signore cinese che, partendo da una modesta rivendita di lavatrici, ha costruito un impero nel settore dell’elettronica. Un gruppo accreditato, nonostante l’annunciata apocalisse, dalla più importante società di gestione patrimoniale del mondo per un’ operazione complessiva di 275 milioni.

E’ il paradigma del decaduto giornalismo sportivo italiano, il medesimo secondo il quale l’Inter avrebbe dovuto portare i libri in tribunale a marzo o essere ceduta alla BC Partners; che per un anno ha chiamato maestro un allenatore esordiente, descrivendolo come un avanguardista del calcio moderno; che negli ultimi giorni ha accostato Maurizio Sarri alla Roma, Rino Gattuso alla Lazio, Sergio Conceicao al Napoli, Massimiliano Allegri all’Inter.

Roba da far impallidire Mark Twain, che definì fortemente esagerata la diffusa notizia della sua morte.

Inizia l’era di Simone Inzaghi.



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Senza Peso

E’ un ibrido tra Mal dei Primitive e Mork della serie Tv Mork e Mindy, nato a Buenos Aires, anarco-capitalista, da poche ore è il nuovo presidente dell’Argentina. E’ Javier Milei. Sguardo da folle, capelli arruffati, occhi spiritati, Milei irrompe nei comizi agitando istericamente una motosega, simbolo dei tagli alla casta, insultando i giornalisti e…

La scala di Bristol

Dopo la diffusione dello scherzo telefonico con il quale Giorgia Meloni è stata circuita da un comico spacciatosi per il Presidente della Commissione dell’Unione Africana, brilla la stella di Mario Sechi, ex portavoce della Presidente. Elevando lo scherzo al rango di operazione di raffinatissima disinformatia dei Servizi Segreti Russi, di prova volta a indebolire l’immagine della…

Ballata del Giambruno

Questa è la vera storia del Giambrunoovverosia il cicisbeo presidenziale Una storia traumaturga e noir. Il Giambruno si innamoròPerdutamente e sessualmente di un’avvenente collega Ma scoprì che invece era una serpe, che dico serpe, un Riccio travestito da collega,E da questa unione nacque una creatura e la chiamarono Pietra.Ma una perfida gocciolina Subentrò nell’innaturale famiglia e…

A un passo

Un anno intero.

Un anno nel corso del quale abbiamo dovuto sorbire di tutto. Un anno di polemiche pretestuose, di narrazioni opportunistiche, enfatizzate da saltimbanchi e direttori di quotidiani, loro sì in crisi di vendite, bramosi di inquinare l’ambiente con notizie parziali o inscenando finte schermaglie. Una liturgia spinta al parossismo, declinata nell’istante in cui anche il tifoso più tenace ha superato le resistenze scaramantiche.

E’ il diciannovesimo scudetto, a un passo dalla seconda stella.

Ma a poche ore dalla consacrazione matematica, dalle celebrazioni, dai canti, l’orchestra ha ripreso a suonare. Come un reflusso gastroesofageo risalgono gorgoglianti le insinuazioni di mercato, intrecciate in un dibattito finanziario che non sembra lambire le altre squadre. A leggere i commenti economici e sportivi, in crisi, c’è solo l’Inter.

La rinascita ha una geografia lontana, orientale. Tramontata la gloria dei Moratti, in un equilibrio sempre più fragile, contratta dalle restrizioni del Fair Play finanziario, un’Inter lacerata ha attraversato due cambi di proprietà, una indonesiana e una cinese. Era l’Inter di Kuzmanovic, di Campagnaro, di Andreolli, di Mbaye, di M’Vila, di Montoya, di Nagatomo. Poche certezze, a parte Samir Handanovic, uno che, alternando delusioni cocenti a cadute prodigiose, ha condotto la nave in tempesta. Con Handanovic, attuale capitano, Rodrigo Palacio, professionista esemplare, e Mauro Icardi, caduto in disgrazia ma in quegli anni essenziale.

Investimenti munifici e una più moderna organizzazione societaria, meno passionale ma pragmatica, con la famiglia Zhang, hanno restituito alla squadra il prestigio che le appartiene. Un riassetto che ha avuto principio con la ridefinizione dei quadri dirigenziali, con l’ingaggio di Giuseppe Marotta e, su indicazione di quest’ultimo, di Antonio Conte, capace di conseguire in meno di due anni uno scudetto, un secondo posto e una finale di Europa League.

Inter is back!



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Paraculopatici

Che sul campionato di calcio tirasse una brutta aria, lo si era intuito dal cognome del principale indagato. Che la categoria dei calciatori non brillasse per sobrietà e acume non sorprende. Che Fabrizio Corona si alimentasse di scandali e indignazione popolare, più che palese era scientifico. In attesa che l’inchiesta riveli nuovi profili, che le…

La tregua amata

Se per comprendere un fenomeno sono essenziali intuito e osservazione critica, sovente oscurati da verità sartoriali, la radicalizzazione della crisi israelo-palestinese, sembra deporre più a favore dei teorici da bar che di esimi analisti. Ne deriva che ogni profuso sforzo interpretativo, evocando i motti del passato, più che difficile si rivela inutile. Tanto più se…

Un ottobre fa

Se potessimo riportare le lancette indietro di un anno, gli eventi ci catapulterebbero in una giornata elettorale con Giorgia Meloni che furente infiamma le folle denunciando inarrestabili ondate migratorie, il ragguardevole costo dei carburanti, le equivoche tendenze sessuali che, ostacolando la famiglia tradizionale, starebbero neutralizzando la maschia robustezza italica. E’ durante un incontro politico che…

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Di Mercoledì / 5: Quei pali

[una rubrica poco utile] 

senzanome

 

 

Quei pali


L’allenatore della Roma Eusebio Di francesco, intervistato a conclusione di Roma – Inter, anticipo serale della seconda giornata di campionato, conclusosi con il risultato di 3 – 1 a favore dei nerazzurri, così commenta il fine gara: «Spalletti mi ha detto che se non avessimo preso quei pali avremmo vinto

Grazie al cazzo, Eusebio.

 

 

 

Il fischio d’inizio

 

E quasi a verificare questa sua realtà, da sempre, ogni settimana faceva giocare dal suo collega di stanza Filini, grande esperto di calcio, una schedina di totocalcio, sempre la stessa: da dodici anni, qualunque fossero le squadre impegnate.

[Fantozzi contro tutti, Paolo Villaggio]

 

Ancora poche ore ci separano dal fischio d’inizio del campionato di serie A,  metafora sovente abusata del malcostume italiano e scaturigine della distrazione che l’architetto mondialista sorosiano avrebbe ordito per obnubilare le nostre menti.

«Con tutti i problemi che ci sono nel mondo, ancora veneriamo dei miliardari che rincorrono un pallone», penseranno i soviet del luogocomunismo. Stanno arrivando.

Ma andateglielo a spiegare a quella  gente là cos’è un gol. Non tecnicamente, ma emotivamente. Fategli sentire le palpitazioni, i mancamenti di chi ascoltando una radiocronaca immaginata in area di rigore, anche se la palla è ancora a centrocampo,  cade vittima di allucinazioni; o lo stato tensivo indotto dalle interruzioni di Ezio Luzzi (per chi l’ha conosciuto), quello  che nei momenti topici, dalla serie cadetta, annunciava il vantaggio poi annullato alla Maceratese, della quale, onestamente, non fregava un cazzo a nessuno.

Andate a spiegare a quella gente cos’era la radiolina di zio Attilio. Spiegategli lo stato psicofisico che porta persone apparentemente razionali a promettersi alla Madonna o munirsi di alambicchi per la preparazione di pozioni che, nella loro testa, dovrebbero  influenzare il corso delle partite.

E poi c’è il bar. Il ricordo di Ziu che esortava Djorkaeff  a pennellare; il tifoso juventino sul quale qualcuno ha calato  il nome di Del Piero; la formazione del Marocco del 1986; le corna dell’arbitro; il fuorigioco che non c’è; la birra. Al bar c’è il paese.

[Agosto]

Nella curva canicolare e polverosa della piazza senese, con l’ultima scudisciata del fantino, dalla contrada le ostilità si spostano in un altro campo, quello verde,  rettangolare, rinnovata platea  di battaglie, polemiche, sorpassi.

Il calcio è quel fantino, quella gloria effimera che  ogni anno nasce e ogni anno muore.

 

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De Boer e il calcio totale [degli altri]

Calcio totale è l’espressione con cui nel calcio si definisce quello stile di gioco per cui ogni calciatore che si sposta dalla propria posizione è subito sostituito da un compagno, permettendo così alla squadra di mantenere inalterata la propria disposizione tattica. Secondo questo schema di gioco nessun giocatore è ancorato al proprio ruolo e nel corso della partita chiunque può operare indifferentemente come attaccante, centrocampista o difensore. [Fonte: wikipedia]

Esattamente ciò che sta facendo De Boer. Il problema è che lo sta facendo male. Fortuna che il campionato non è ancora cominciato, e questo è un film.


La Trama:

Frank De Boer, novella iena del tavoliere, è un allenatore olandese fiducioso -prima o poi – di allenare in Italia. Il suo idolo è il filosofo di Volpara Corrado Orrico, l’uomo che parlava di arte con Klinsmann e di economia con Matthaeus. La grande occasione giunge quando il presidente cinese Zhang Jindong, proprietario della Federazione Calcistica Inter Milano, di concerto con il presidente indonesiano Tohir, lo ingaggia per guidare la sua squadra, da poche ore orfana di Roberto Mancini.

Dopo la presentazione alla stampa e la rinnovata intenzione di pianificare un progetto strutturato, il presidente e il nuovo allenatore si recano ad Appiano Gentile per definire le ultime operazioni di mercato. L’inizio del campionato è imminente. Zhang Jindong, in preda a un impeto emotivo, s’inerpica nel periglio fonetico del collaudato fozza inda, annuncia investimenti mirabolanti, acquista in spregio ai parametri finanziari dell’Uefa. Insomma, fa capire di avere i soldi. Lui non è il cinese del Milan.

La campagna acquisti dell’inter decolla: arrivano Candreva, unico a parlare l’italiano,  e Joao Mario. Dalla sardegna in un vernacolo incomprensibile allo stivale commentano stupiti: «su ning chi l’ha coddau! Custu pottada dinai». Il timone passa al timoniere. Frank De Boer, 1.79 cm di altezza, 77 kg di peso, occhi azzurri, ma soprattutto gemello di Ronald. Ai suoi più stretti collaboratori Frank dice: «Ce lo faccio vedere io chi è Frank De Boer». La grande occasione è arrivata. Frank vuole sorprendere il pubblico, il palcoscenico italiano è suo.

Esordio a Verona, sponda Chievo. Frank schiera la difesa a tre, e dal pubblico dicono: «vediamo dove vuole arrivare». Sposta Miranda dal centro della difesa, ma il pubblico non demorde: «vediamo dove vuole arrivare». Al centro della difesa riappare Ranocchia, ma il pubblico è curioso: «vediamo dove vuole arrivare». Chievo – Inter, 2-0. Un tifoso si gira verso Zhang Jindong e gli chiede: «ma dove cazzo voleva arrivare? ».

Calma e gesso, siamo solo all’esordio: arriva il Palermo. Risultato finale: 1-1. Frank, hai rotto er ca’.

Serve un altro difensore dice lui. Già, che sbadati, manca un difensore. Ausilio parte in Russia. Giunto nella deposta Unione Sovietica, il dirigente si mette in contatto con il socio Giginho. I due tentano di imbrogliare De Boer promettendogli l’ingaggio di alcuni fuoriclasse russi: «questo è bravo», dicono rifilandogli l’archivista della biblioteca di Mosca; ma De Boer si accorge della truffa e s’infuria. I due mediatori, in preda al panico, tentano allora di ingaggiare Criscito.

Milano, due del mattino, squilla il telefono di Frank: è Ronald. «Ehi Frank, dai retta al tuo fratello, fatti comprare un attaccante». Ma Frank non sa che Ronald è ubriaco e lo sta chiamando da un coffee shop; sta festeggiando l’addio al celibato.

Frank rinsavisce, chiama Ausilio e prenota un volo per il Brasile. Sembra rassegnato a rimpatriare a mani vuote, ma Giginho gli presenta Gabigol, un giovane sconosciuto che gioca come attaccante in un piccolo campetto nel quartiere Maracanã.

Disattese le aspettative, serpeggia la sfiducia, la proprietà cinese comincia a storcere il muso. De Boer sembra destinato all’ esonero ancor prima di cominciare, ma il presidente Zhang, cogliendo la sosta per le nazionali, gli rinnova la fiducia. De Boer porta la squadra in ritiro, vuole recuperare la brillantezza mancata all’inizio del campionato, ma i problemi di adattamento di Gabigol si acuiscono. I compagni di squadra lo discriminano, nessuno gli dà le spalle, sotto la doccia lo evitano; così Gabigol è costretto a dormire con l’allenatore. Conosce Michelina, la figlia di Frank.

Michelina è triste e consapevole che se l’Inter non raggiungerà la qualificazione in Champions League suo padre verrà esonerato e non potrà più rivedere Gabigol, di cui nel frattempo si è innamorata. De Boer si sente in bilico, ma riesce a rasserenare il giocatore, placando la sua difficoltà di ambientamento.

Ecco, questa è la prima parte del campionato, e del film. C’è tempo per apportare le dovute modifiche: abbandonato il 3-5-2 esperito con il Chievo, sperimentato il 4-3-3 con il Palermo, il 5-5-5 è a un passo.

Il 5-5-5, quello di Canà, quello di De Boer. Il calcio totale.

Sei un eroe De Boer.


Testo elaborato smontando la trama de l’allenatore nel pallone, commedia  diretta da Sergio Martino e ambientato nel mondo del calcio italiano degli anni ottanta.