La gabbia

Scemata la fosforescenza marinettiana del governo Conte, che fu uno e trino, di destra e di sinistra, di contrasto all’immigrazione e accogliente; europeista e sovranista, Interista e Milanista, il governo italiano, almeno nella sua autorevolezza, riscopre la normalità.

Testimone della caducità del quotidiano, della gloria che effimera seduce e abbandona la sua vittima, così, l’Italia eleva agli onori della Repubblica Mario Draghi, il migliore.

Orfani di Rocco Casalino, erede dell’epopea grandefratelliana, incarnazione del sogno americano all’amatriciana, le istituzioni ritrovano apparenze di grigiore burocratico. Niente più conferenze stampa annunciate alle 20:13, spostate alle 20:47, rinviate alle 21:21; niente più bozze nottetempo filtrate per tastare gli umori popolari; niente più incontri ufficiali nei quali pretendere la decima sulle inquadrature. Niente più Rocco Casalino, che tanto si dolse quando le macerie del ponte di Genova travolsero il suo ferragosto.

Rocco Casalino, il narciso portavoce del Presidente del Consiglio, l’uomo calato dalla divinità dell’assurdo, che commentando la moratoria dei diritti costituzionali in tempo di pandemia ha dichiarato: «Siamo stati la prima democrazia a farlo dopo una dittatura»; lui che minacciava i tecnici del MEF e il Ragioniere Generale dello Stato, oggi Ministro dell’Economia; lui che scherniva i giornalisti per la paventata chiusura di un giornale.

A Rocco Casalino, il portavoce, si rimprovera non tanto la partecipazione al Grande Fratello, quanto aver trasformato la comunicazione della Presidenza del Consiglio in uno studio televisivo in cui tutto è scena, tutto è luce, tutto è immagine.

Una gabbia dalla quale non è mai uscito.


Classificazione: 1 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Parola di un ipocrita

Indagando la composita sfera di parenti, amici, conoscenti, è raro scorgere persone che abbiano mai fatto ammissione della propria ipocrisia. Il quesito sorge allora spontaneo: se l’ipocrisia è tanto diffusa e radicata, perché ostracizzarla? Perché non annoverarla tra le sane manifestazioni dell’animo umano? Ha davvero senso indignarsi, dissimulare, se nessuno può dirsi immune? Passaggio obbligatorio…

La Putin Doll

La Putin Doll è una linea di bambole tutte simili, interscambiabili negli abiti e nei ruoli, commercializzata da Mattel Corporation  e ideata sul modello di una partigiana filorussa. Con accessori vendibili separatamente, è – secondo le contingenze – interscambiale con tratti identitari della politica filopalestinese, filoiraniana, filosiriana. Per venire incontro alla clientela più esigente, non ha…

Rutti

Abituati come siamo a esaltare l’autoreferenza di frettolosi interpreti digitali, abbiamo a tal punto smarrito la misura dell’arte da licenziare come stolto egocentrico uno dei più abili e corrosivi autori presenti sulla scena italiana. Autore di composizioni sopraffine e di scazzi memorabili, ha da solo nobilitato l’ultimo concerto del Primo maggio lanciando strali contro la…

Dieci agosto

Libero adattamento al più nobile 10 agosto del poeta Giovanni Pascoli, nel cui cognome gli improvvisati governanti potranno cogliere un valido suggerimento professionale.


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Signor Conte, io lo so ha il cuore infranto
delle cinque più una stella non brilla
dal treno cadde, si ruppe l’impianto
che dal cavo falciato scintilla.

Ritornava un ministro in costume:
l’offesero: il suo nome è Salvini:
vomitava dalla bocca il pattume:
la cena de’ suoi grillini.

Ora è là, in consolle, che tende
il bicchiere a quel cielo lontano;
Mattarella è nell’ombra, che attende,
una chiamata del Vaticano.

Anche Di Maio tornava un po’ brillo:
l’offesero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi di Grillo:
a cui portava due picche in dono.

Ora là, nella casa romita
lo aspetta, lo aspetta il divano:
è immobile che ammira le dita
in silenzio gli parte la mano.

E tu, Sergio, dall’alto degli anni
ammiri infinito dal Quirinale,
contese ferali per uno scranno
nell’ opaco attimo elettorale.

 

 

® Immagine di copertina tratta dal profilo Spinoza colors

Un anno bellissimo

Immaginate la Francia che richiama l’ambasciatore a Roma, sospendendo di fatto le relazioni diplomatiche con il nostro paese. Non accadeva dal 1940, quando la vile Italia le dichiarò guerra.

Immaginate una relazione di governo che  fra le cause del rallentamento internazionale inserisce la crisi dell’industria dell’auto e approva una  legge di bilancio che tassa le auto.

Immaginate un governo che annuncia un PIL al 3%; che accogliendo l’esortazione a una maggiore prudenza lo riduca all’1,5%; che realizzando di averlo stimato in misura tripla rispetto a quello mondiale lo riduca all’1%; che le previsioni di crescita per il 2019 si fermino al 0,2%.

Immaginate un paese che vorrebbe crescere aumentando le tasse sulle imprese (+0,4%) e diminuendo gli investimenti pubblici (1 miliardo e 63 milioni in meno).

Immaginate Bankitalia esortata a candidarsi alle elezioni dopo aver segnalato l’insostenibilità della manovra.

Immaginate il Fondo Monetario Internazionale taciato di affamare il popolo dopo aver segnalato l’insostenibilità della manovra.

Immaginate l’Istat accusato di  nutrire pregiudizi antigovernativi e di aver falsificato le rilevazioni dopo aver segnalato l’insostenibilità della manovra.

Immaginate l’ufficio parlamentare di bilancio accusato di faziosità per  annoverare nei suoi ranghi una collaboratrice di  Cottarelli.

Immaginate un sottosegretario all’economia che chiede all’opposizione di riferire in parlamento.

Immaginate la caduta libera della produzione industriale.

Immaginate una misura come il reddito di cittadinanza non applicabile ai senzatetto in quanto privi di residenza.

Immaginate un paese che vorrebbe crescere prepensionando la gente, indipendentemente dal lavoro svolto.

Immaginate 82 mila casi di morbillo nel 2018, il numero più alto del decennio, con 72 morti e una cifra  tre volte superiore a quella del 2017 e 15 volte rispetto a quella del 2016, anno del record negativo.

Immaginate una paese che dal 1 giugno –  insediamento del governo Conte –  registra: 123.000 posti a tempo indeterminato in meno, 84.000 lavoratori precari in piu, 77 miliardi di investimenti esteri in meno.

Immaginate un ministro della giustizia che realizzando il video celebrativo di una missione di polizia mette a repentaglio l’incolumità degli agenti in copertura.

Immaginate un ministro dell’interno che sfila indossando la divisa della polizia e pubblica quotidianamente i suoi pasti.

Immaginate il ministro delle infrastrutture che, furtivamente, consegna l’analisi costi-benefici sullalta velocità prima alla Francia che alle autorità italiane.

Immaginate un ministro dell’interno che tiene in ostaggio una  nave della Guardia costiera italiana, la  Diciotti, impedendo lo sbarco di 177 naufraghi.

Immaginate il padre del vicepresidente del consiglio, Antonio Di Maio,  accusato di abuso edilizio e di mancata regolarizzazione contrattuale dei suoi operai. Aspetto quest’ultimo che lo accomuna a Vittorio Di Battista, padre di Alessandro.

Immaginate un governo che nomina Lino Banfi a rappresentare l’Italia nella commissione per l’Unesco.

Immaginate la madre della vicepresidente del senato sfrattata dalla casa popolare che occupava abusivamente nella periferia di Roma.

Immaginate un ministro che riconduce all’uso dei condizionatori la crescita del prodotto interno lordo.

Immaginate un ministro dei trasporti secondo il quale gli  imprenditori italiani utilizzano un tunnel  che non esiste.

Immaginate un governo nato sotto l’astro della tecnologia che, in deroga al provvedimento sulle chiusure domenicali, non assoggetta alle nuove regole i rivenditori di dischi, nastri magnetici, musicassette, videocassette, stampe, cartoline.

Immaginate il il portavoce del presidente del consiglio, capo dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi, che a tre giorni dal crollo del ponte Morandi si duole perché gli salta il ferragosto.

Immaginate di avere un presidente del consiglio.

Immaginate un anno bellissimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sfora Ebbasta

Prima che si ripresentasse scuro in volto, con la cartelletta, l’immagine di Padre Pio nel portafoglio, la commissione europea lo aveva ribattezzato Sfora Ebbasta.

Memore delle balconate romane del vicepresidente Di Maio e delle riserve aurifere millantate da ‘er felpa, dei me ne frego dell’ Europa, dello spread che non si mangia a colazione, delle letterine di Babbo Natale, ora che le agguerrite milizie gialloverdi battono in ritirata, al presidente Trap Giuseppe Conte, non è rimasto che rinegoziare l’abbassamento del deficit dal dogmatico 2,4% al 2,04%, risultato che verosimilmente avrebbe ottenuto anche senza spendersi nello scialbo puerilismo di questi mesi. Un Deficit/Pil al 2,04%, significa lo 0,14% in più di quanto qualche mese fa avrebbe accontentato Europa e mercati.

Sotto l’alta guida di Paolo Savona, i fenomeni, erano convinti di poter negoziare alla pari con la commissione europea, financo di ricattarla, nella beata illusione che l’Italia fosse troppo grande per fallire. E invece? La tattica adottata ha solo riaffermato la conclamata debolezza italiana, che era tale anche nelle precedenti amministrazioni, tuttavia più accorte di quest’orda di segaioli, costretti a calare le braghe pur di evitare la procedura d’infrazione.

Hanno giocato tutto sulla terapia d’urto, sulla retorica muscolare, volevano sferrare il colpo ferale all’Europa e sono riusciti a ricompattarla, inimicandosi anche i paesi che ritenevano alleati.

Come il cupido di Sfera Ebbasta, hanno fatto gli stupidi, hanno bevuto troppo e si sono fatti riportare da lei, l’Europa, quella tipa chic che voleva un Trap boy come Giuseppe Conte.

Ciao, cialtroni ❤

 

Merda da statista

Il primo piano su Luigi Di Maio che dal balcone di Palazzo Chigi annuncia di aver sconfitto la povertà è ancora vivo. Sembra trascorsa una vita, ma sono passati solo dieci giorni.

Luce selettiva sul viso, dilatazione delle pupille, fissità plastica rimbalzano allo spettatore il fotogramma mancante tra lo stilema Vanzinano che precipita sulla tavoletta del cesso e l’allucinata guida di Marion in Psycho.

Pochi secondi di finzione cinematografica, prima che la realtà si manifesti alla variopinta compagine circense. Se l’incontro fra il presidente delle BCE Draghi e Mattarella, il viaggio di Di Maio a Berlino, la visita di Fico a Junker, il crollo della borsa, l’impennata dello spread, avevano rivelato che qualcosa non stesse andando nella direzione auspicata, mai era accaduto che in sole ventiquattro ore una manovra fosse contemporaneamente stroncata da Bankitalia, Fondo Monetario Internazione, Corte dei Conti e ufficio parlamentare di Bilancio.

Così come non si ricorda un presidente di commissione che, nel corso della seduta, silenzia il microfono di un ministro, in debito di lucidità dopo un tenace intervento parlamentare. Ma ancor più inquietante è il verbo savoniano. Denota sozzura l’affermazione del ministro per gli affari europei, volto nobile del governo, quando dichiara: «Se ci sfugge lo spread la manovra deve cambiare. La BCE acquisti i titoli italiani.» Ma come?!

A fondovalle, incuranti dello scenario magmatico che sta per travolgerli, gli attori di uno spettacolo mediocre, con sadica voluttà, ostentano sicumera e stringono mani.

Nel frattempo, dalle remote fessure del tendone, cominciano a diffondersi odori sospetti, che non sono quelli del napalm al mattino. Afrori di derivazione organica che rimandano alla memoria la primavera del 1961, quando Piero Manzoni sigillò novanta barattoli di latta, identici a quelli per la carne in scatola, ai quali applicò un’etichetta con la scritta «merda d’artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961.»

Frankazista

Tre appassionanti mesi di governo del cambiamento, come li avrebbe raccontati Fabrizio De Andrè, che nel tema originale si  ispirò a un racconto sentito da uno dei suoi sequestratori.

 

Hanno detto che Matteo
è stanco di pagare
tutta notte a Pontida
attacca il Quirinale
quanto è piccolo il suo porto
è grande la montagna
come brilla il suo colore
in spiaggia d’estate, nel lido Romagna.

Tu ministro senza luna, senza terra e tanta fortuna
questa notte sognerai col tuo rimborso, stretto intorno al tuo rosario.

Tu ministro senza luna, senza terra e tanta fortuna
questa notte sognerai col tuo rimborso, stretto intorno al tuo rosario.

Hanno detto che Di Maio
è stanco di studiare
tutta l’acqua si è bevuto
prosciugando il mare
tutta notte sulla rete
fa ricerche  sui vaccini
guarda l’Ilva alla finestra
gli occhi  vuoti  dei tarantini.

Di  marinaio fa promesse, cambia orari e chiude portoni
senza congiuntivi da portare o una rata di pensioni.

Di  marinaio fa promesse, cambia orari e chiude portoni
senza congiuntivi da portare o una rata di pensioni.

Hanno detto che Giuseppe
è stanco di posare
sembra un Conte dimezzato
da un Calvino ilare
Figlio figlio e professore
che l’appello fai dal mare
c’è una concorso a La Sapienza
nessuno scritto, soltanto l’orale.

Tu docente senza luna, cinquestelle e tanta fortuna
questa notte sognerai i tuoi grillini, messi in forno da Salvini.

Tu docente senza luna, cinquestelle e tanta fortuna
questa notte sognerai i tuoi grillini, messi in forno da Salvini.

Hanno detto che Danilo
non sa più  progettare
ingegneri ponti e porti
lui sogna di bloccare
l’altro giorno un capo in lana
gli ha sorriso in autostrada
lo accusava del Morandi
quel che tesseva, non quel che cantava.

Riccia e folta la sua chioma, concentrato e lucidi occhioni
senza un dirigente da isolare o una prova di pressioni.

Riccia e folta la sua chioma, concentrato e lucidi occhioni
senza un dirigente da isolare o una prova di pressioni.

 


W L’Italia

Eravamo io, Diego Fusaro, Giampiero Ventura e George Clooney, a disquisire di politica e di massimi sistemi. Passeggiavamo lungo la banchina del porto di Santa Teresa quando Ventura, indicando l’imbarcazione ormeggiata di D’Alema, ha esclamato: «Lui si che sta bene. Baffetto!».

Era una giornata calda, umida, greve. La giornata qualunque di un’Italia demondializzata,  composta spettatrice della gloria franzosa e dell’imberbe esuberanza macroniana. Era L’Italia braccata dalla manina ministeriale di Di Maio e dalla serrata portuale del governo. L’estate dei naufraghi con le unghie pittate, sopravvissuti al mare ma non all’esacerbazione di creature fallocefale; l’estate dei quarantanovemilioni della Lega e della ridondante ascesa di Matteo Salvini, al quale la colonscopia di quel grande culo che chiamavamo Italia assegnava il primato elettorale.

Era l’estate dell’improvvisa scomparsa di Marchionne, al quale la sorte aveva prosciugato la possibilità di abbeverarsi nel sapere degli avvinazzati. Loro sì che sapevano come ristrutturare la FIAT. Ma era anche l’estate del ministro per il sud. Guai a parlarle di TAP. Sfidava chiunque a stendere l’asciugamano sul gasdotto. Lei il gas non ce l’aveva neanche a casa. Per cucinare chiamava un ragazzo, il garzone del ristorante indiano, che accendeva i fornelli scorreggiando venti speziati. Era l’estate di Cristiano Ronaldo alla Juventus.

L’estate di gente che non sapeva cosa accadesse a Palau, ma conosceva le opportunità e le dinamiche interne alla questione libica.  La libia era più vicina di quanto pensassero. Era Palau ad essersi allontanata.

Un’estate un po’ così, insomma. L’estate del governo Conte senza Conte, la cui involontaria comicità aveva alleggerito la delusione mondiale, presto derubricata a fenomeno statistico dopo il sorteggio dei calendari di Serie A. C’era attesa per l’esordio casalingo del Napoli, non tanto per le ragioni sportive, quanto per le indicazioni che potevano arrivare dalle tribune, dove gli spettatori scrutavano un  potenziale presidente del consiglio.

Ricordo che un giorno di quell’estate, una domenica, tornando a casa ho incontrato un leghista, di quelli che puntavano la pistola contro i campi rom. Gli ho detto: «Fratello, tornando a casa troverai i bambini, dai una carezza ai tuoi bambini e dì loro: questa è la carezza del Papa».

Ho atteso che si rilassasse, che chiudesse gli occhi. Mi sono spostato di 180 gradi, ho preso la mira e gli ho sparato un bel calcio nel culo.

Mica sono il Papa io.

Un Conte in cerca d’autore

Sbarcato da un cargo battente bandiera liberiana, si  è palesato Giuseppe Conte, 57 applausi in 72 minuti.  Perfetta sintesi di un accordo impossibile, di un ibrido che Di Maio e Salvini chiamano contratto per la vergogna di definirsi alleati.

Impacciato come il liceale che entri per la prima volta in un cinema a luci rosse,  il confuso presidente del consiglio, autoproclamatosi avvocato del popolo – come certi ricoverati che rivendicano discendenze napoleoniche – ha fornito una prima testimonianza della sua mediocrità politica.

Nelle venticinque pagine di intervento, soprattutto al senato, nessun riferimento alla scuola. Nessun riferimento al mezzogiorno. Nessun riferimento alle infrastrutture. Nessun riferimento alla legge Fornero. Deboli riferimenti alla sanità, nessuno ai vaccini. Per parlare in compenso di fantomatiche reti info-telepatiche; di misurazione con i dilemmi dell’intelligenza artificiale e – riporto testualmente – di utilizzo dei big data per cogliere tutte le opportunità della sharing economy; di revoca delle sanzioni applicate alla Russia;  di convinta partecipazione alla NATO; di esclusione di un piano per l’uscita dall’euro, che qualche problema ha generato nell’affaire Savona.

Assorbito in un coagulo di intenti che per la loro vaghezza sarebbe delittuoso non condividere, il presidente Conte sarà ricordato per le enunciazioni generiche. Parlare di attivazione di politiche per rilancio del sud, come lui ha fatto, non è un programma, è l’affermazione di un principio. Parlare di efficienza e qualità dei servizi, non è un programma, è l’affermazione di un principio. Sventolare la necessità di redistribuire il fisco secondo equità, non è un programma, è l’affermazione di un principio.

Se il proposito era quello di raccogliere applausi , un discinto W la Fica,  sussurrato con eleganza e senza fronzoli accademici,  gli avrebbe assicurato meno fatica e altrettanta gloria.

La superficialità dei capitoli economici e sociali, che si scontra con il malvezzo di operare nel rispetto delle coperture,  sembra invece trovare concretezza – ma fino a un certo punto – nel paragrafo sulla sicurezza, improntata più dalla propaganda del ministro dell’interno che dalla proposta di Conte.  Ministro dell’Interno capace in appena due giorni di generare una crisi diplomatica con la Tunisia e di tacere sulla barbara fucilazione del migrante sindacalista di Gioa Tauro.

Prenderemo i migliori cervelli per fare i ministri, annunciava tempo fa Luigi Di Maio. Poi ministro lo è diventato lui.  Lui che da piccolo sognava fare il pasticciere trotzkista.

 

 

Dove c’è ignoranza io prospero, e dunque darò fiducia a questo governo per osservarne il declino. [Vittorio Sgarbi]

 

 

 

 

Il buco del culo

Claudio Rinaldi, maestro del giornalismo italiano, un giorno disse: «Mai scrivere cosa c’è dietro? Perchè dietro c’è solo il buco del culo».

E’ in ossequio al maestro che non mi chiederò cosa nasconda il caso Savona; non alimenterò il sospetto che sia una strategia leghista tesa a erodere consensi al movimento cinquestelle, inaugurando l’inglorioso tramonto di Luigi Di Maio e il prematuro ritorno al voto con Salvini candidato primo ministro in un centrodestra ricompattato.

Conte non conta.

Con questa nostra addirvi

Rassicurato dal timbro curiale di Luigi Di Maio, sollecitati gli avventori della piattaforma Rousseau e dei gazebo, incontrati i presidenti di camera e senato, nelle prossime ore Mattarella, sintetizzando pulsioni gonadiche e indulgenza francescana, potrebbe conferire l’incarico al futuro presidente del consiglio: l’ennesimo non eletto dal popolo, diranno leghisti e movimentisti, salvo realizzare che a designarlo sono stati loro.

Preso atto che nessuno ha votato l’alleanza tra Lega e Cinquestelle, antitetici e alternativi in campagna elettorale; preso atto che Giuseppe Conte fino a poche ore fa era un emerito carneade, tanto per gli italiani quanto per alcune prestigiose università straniere; preso atto che i candidati naturali di Lega e Movimento Cinquestelle erano rispettivamente Matteo Salvini e Luigi Di Maio; preso atto di tutto ciò, al grido di “poi famo tutto ‘nconto“, sarà il succitato professor Conte, ordinario dell’università di Firenze, la figura mediante la quale, in una gestazione che si annuncia sofferta, si avvierà la nuova legislatura, e con essa la riforma del sistema pensionistico, l’introduzione di Flat Tax e reddito di cittadinanza, la rottura dell’incantesimo di Biancaneve, l’argine allo strapotere della tecnocrazia europea; che ancora si chiede chi sia Conte.

Al presidente indicato l’onere di certificare la sostenibilità delle proposte formulate dalla nascente maggioranza, smentendo quanti sospettino che l’irrealizzabilità degli obbiettivi sia – invero – funzionale alla creazione di un alibi vittimistico da esumare in caso di fallimento.

Sebbene l’osservatorio sui conti pubblici, pronunciandosi sull’accordo, abbia stimato misure espansive per 125 miliardi e risorse per 500 milioni di euro, sarà lui, Conte, in qualità di presidente o di interposto, a illustrare e giustificare provvedimenti connaturati a riforme costituzionali temporalmente incalcolabili e previsione di introiti facenti leva sulla convinzione che le agevolazioni fiscali faciliteranno la redenzione di un popolo geneticamente evasore.

Uno scontro consumato tra chi la spara più grossa pur di conquistare visibilità e anabolizzare il proprio ego, investendo su declamazioni inconciliabili con la ragione ancor prima che con la ragioneria, ma capaci di stabilizzare il consenso popolare, insozzato da apostolati e paradigmi elettorali che potrebbero riproporsi prima del previsto.

Insomma, tra ottimismo ostentato e divagazioni vacue, aleggia un senso di claudicante euforia, propria di quelle feste in cui, citando Alberto Forchielli, tutto inizia con un brindisi e finisce con un’inculata.