E’ l’Alaska, la patria adottiva di Christopher McCandless, quella del vecchio scuolabus abbandonato nella neve, l’unica nazione al mondo che applica il reddito di cittadinanza.
Ne deriva che se avete creduto alla variopinta narrazione grillina e non appartenete ad alcuna delle etnie Athabaschi, Aleuti, Yup’ik, o non possedete un Igloo nelle algide terre nordamericane, sarà illusorio defilarsi dall’etnia Khaf.
Rispetto all’istituto vigente in Alaska, in cui il richiedente dev’essere cittadino da almeno un anno, il progetto assistenziale pentastellato, che in invero è un reddito minimo garantito di 780 euro netti al mese, presenta tuttavia delle peculiarità.
Intanto è un sussidio. La dicitura reddito di cittadinanza, certamente più glamour della parola sussidio, è un espediente semantico, una suggestione, familiare più alle televendite di Wanna Marchi che alla riforma dello stato sociale. Senza la vecchina che balla.
Una suggestione della quale si dovrà rispondere a breve, perché scemato il fervore elettorale, calata la mannaia della realtà, i contorni cambieranno. Stime al ribasso prevedono che il reddito pentastellato, calcolato su un potenziale di nove milioni di persone, graverà sulle casse dello stato per almeno cento miliardi.
Le perplessità sul reperimento delle risorse non favoriscono l’analisi. Dal taglio generico degli sprechi alla riforma dei centri per l’impiego, la superficialità si coagula nella retorica dei privilegi parlamentari, che avrebbe un senso se non incidesse più sulla morale che sull’economia. Per contro non si rivela l’impatto che le misure avranno sui bilanci, quanto costeranno in termini di interessi sul debito e sui mutui, quanto accresceranno l’imposizione fiscale, l’Iva.
Insomma, ferme restando le perplessità sulle coperture finanziarie, evocando risorse che se non sono state trovate in tutti questi anni è legittimo pensare che non esistano, il funambolico progetto pentastellato statuisce che il richiedente abbia raggiunto la maggiore età, sia disoccupato, non percepisca reddito da lavoro, non percepisca pensione non inferiore alla soglia di povertà.
E’ condizione per il mantenimento del sussidio che il richiedente si iscriva ai ristrutturati centri per l’impiego, che accetti uno dei primi tre lavori che gli saranno offerti; che partecipi a progetti utili per la collettività per un massimo di otto ore alla settimana; che partecipi a non definiti corsi di formazione.
Non è chiaro da dove nasceranno i tre lavori proposti dai centri dell’impiego, ma nel vuoto primitivo, dove chiunque si arroga il diritto di elaborare e confutare teorie economiche, sociali, mediche, l’importante è vendere.
Arguendo lo scarso potere seduttivo di una campagna elettorale incentrata sulla riforma dei centri per l’impiego, tuttavia mi chiedo: anziché alimentare illusioni al limite della circonvenzione d’incapace, non sarebbe stato più onesto – tanto più per chi eleva l’onestà a suo credo – parlare meno di reddito di cittadinanza e più delle premesse alle quali è subordinato il modello sociale pentastellato?
Semplifico. Se per stimolare la campagna abbonamenti di una squadra in crisi economica e di risultati, il presidente – agendo sulle pulsioni emotive dei tifosi – da una parte promette l’acquisto di Cristiano Ronaldo [reddito di cittadinanza] e dall’altra, con tono meno enfatico, sussurra che l’acquisto sarà subordinato a una complessa ristrutturazione organica e finanziaria della società [riforma dei centri per l’impiego], e che in ogni caso questa ristrutturazione non avverrà prima di due o tre anni, secondo voi, ai tifosi rimane in mente la mirabolante immagine di Cristiano Ronaldo o le complesse variabili che di quel progetto costituiscono la premessa?
Su quest’ambiguità nasce la XVIII legislatura, sospesa tra una nascita complicata e l’ombra di una morte prematura, con pochi viveri, un sacco a pelo e l’illusione beata dei cercatori di sogni.
Il popolo è un bambino
[Ascanio Celestini]
Il popolo è un bambino.
Se gli rubi le caramelle il bambino si arrabbia.
Ma se gliele metti in vetrina quello se le compra subito.
Allora tu che sei più furbo del popolo gliele fai pagare il doppio di quello che valgono.
Così per ogni caramella che si compra una gliela vendi e un’altra gliela rubi.
Se metti le mani in tasca al popolo sei un ladro,
ma se è il popolo che si viene a svuotare le tasche da te è solo una legge di mercato.
Il popolo è un bambino, gli piace comprare le caramelle.
Poi magari se le porta a casa e manco se le mangia.
Magari le butta al secchio, magari.
Perché ai bambini gli piace comprare comprare comprare.
Allora tu che sei più adulto del popolo gli vendi tutto.
Il popolo vuole mangiare? E tu gli vendi le porcherie fino a farlo scoppiare.
Il popolo vuole le canzonette? E tu gli vendi qualche chilo di ritornelli da canticchiare sotto la doccia.
Il popolo vuole gli ideali? E tu gli vendi anche quelli.
Poi magari li porta a casa e non ci crede più.
Magari li butta al secchio.
Meglio! Meglio…
Così torna subito al supermercato a comprarsi le caramelle.
Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?