Adesso lo scrivo su Facebook

Se in un tempo remoto, a tutela di un’ingiustizia o di una calunnia, era buona abitudine rivolgersi al maresciallo o al magistrato, da quando il metro digitale si è sostituito al diritto, e alle buone maniere, un pratico metodo si è imposto a usi e consuetudini: “adesso lo scrivo su Facebook“.

Una procedura sommaria che tra sintassi incespicanti e sgangherate elucubrazioni elargisce suggerimenti e indicazioni operative, colmando con spedita efficacia le carenze degli apparati amministrativi locali e nazionali.

Dal conto eccessivo del ristorante allo sgarbo del funzionario pubblico, dalla scaltra prestazione dell’idraulico all’ostilità dell’insegnante, dal mancato ritiro della mondezza alla poca professionalità del cameriere, non esiste fattispecie della quale il tribuno digitale si dichiari dubbioso o incompetente.

La pulsione di proteggere il creato da una sorte tragica e nefanda, cresce silente nel giustiziere, bramoso di intercettare e saggiare le altrui reazioni. Un preparato mercuriale si effonde dal suo polpastrello e ambiguo s’insinua nella folla orgiastica.

Un fenomeno del quale si trascura la pericolosa deriva, investendo l’onorabilità delle persone, delle professioni, dei luoghi. Tanto trascurato che, per denunciarlo, pensavo di scriverlo su Faceboook.

Sono l’incubo peggiore che tu abbia mai avuto. Di quelli che ti facevano svegliare gridando e chiamando la mamma. [Batman , il ritorno del Cavaliere Oscuro]


Classificazione: 1 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

La Putin Doll

La Putin Doll è una linea di bambole tutte simili, interscambiabili negli abiti e nei ruoli, commercializzata da Mattel Corporation  e ideata sul modello di una partigiana filorussa. Con accessori vendibili separatamente, è – secondo le contingenze – interscambiale con tratti identitari della politica filopalestinese, filoiraniana, filosiriana. Per venire incontro alla clientela più esigente, non ha…

Rutti

Abituati come siamo a esaltare l’autoreferenza di frettolosi interpreti digitali, abbiamo a tal punto smarrito la misura dell’arte da licenziare come stolto egocentrico uno dei più abili e corrosivi autori presenti sulla scena italiana. Autore di composizioni sopraffine e di scazzi memorabili, ha da solo nobilitato l’ultimo concerto del Primo maggio lanciando strali contro la…

Sabato antifascista

All’apparenza sembrava un sabato qualunque, di quelli che già profumano di domenica, di sveglie ritardate, di pigrizia pomeridiana. Ma non per tutti. Per Benito era il primo sabato antifascista. Così, dopo essersi lui medesimo dichiarato antifascista, Benito, alleggerito dalle funzioni corporali, si recò in cucina, accese i fornelli e avviò la preparazione del caffè dosato…

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L’alieno

Padre, è il 21 gennaio dell’anno cosmico 2022, mi trovo in una spoglia terra di confine, a settentrione di un’isola che gli umani chiamano Sardegna.

L’esistenza scorre lenta, gli abitanti sono terrorizzati da un fenomeno pandemico che non sembra intaccare altre forme di vita. La mobilità umana, in questa porzione di materia, è regolata attraverso un lasciapassare: il Green Pass.

Gli umani si spostano su elementari monopattini che, renitenti alle regole, conducono interagendo con altri dispositivi elettronici.

Trasmetto dalla base logistica di un’isola chiamata Municca. La stazione orbitante, precipitata dopo una violenta tempesta stellare, ha impattato in prossimità di un misterioso profilo granitico provocando l’esplosione e la morte dei membri dell’equipaggio. Il corpo della matricola H-725 è stato sequestrato dagli indigeni e, seguendo le più scrupolose istruzioni del protocollo Zuckerberg, sottoposto a esame autoptico.

Attraverso la piattaforma gli umani hanno realizzato un perfetto livellamento delle conoscenze. Evidenziano competenza multidisciplinare, formulano diagnosi, combinano strani composti alimentari.

Nell’arte figurativa hanno sostituito la pittura con la fotografia delle portate. Il linguaggio è stato rivoluzionato introducendo il concetto di piatto povero rielaborato e proponendo segmenti sempre più ridotti a prezzi sempre più elevati. Ha preso corpo la prassi della spiegazione al tavolo.

Gli scambi commerciali sono regolati da una nuovo valore: il panettone R.A.U. Lo stipendio medio mensile di un operaio è trenta panettoni R.A.U.

Si proteggono dal freddo bruciando un derivato ligneo di forma cilindric. Il calore generato dalla combustione viene dissipato con l’apertura di feritoie che a loro volta ripristinano lo stato termico originario, e quindi la necessità di una nuova combustione.

Un sistema di antenne dall’alto potenziale radioattivo mi permette di ricevere e ascoltare la vita all’interno delle abitazioni. Gli abitanti sono tra loro ostili e attualmente coalizzati in due fazioni: favorevoli e contrari a un farmaco denominato vaccino.

Persuasi di essere all’apice dell’evoluzione tecnologica, sebbene ancora fermi all’obsoleto 5G, paventano l’esistenza di un piano per l’inoculazione di un microchip nell’organismo. Ha suscitato sdegno l’assunto che il nostro pianeta sta superando il 9724G e che l’inoculazione avviene per via rettale.

La comunicazione viaggia attraverso un regressivo software di messaggistica che gli umani, rivelando una sintassi sgangherata, utilizzano per esaltare il proprio narcisismo, dileggiare e diffondere laidezze postribolari. Uno di essi – consolidando l’adagio del pelo che tira più di che carro di astronavi – è stato trasmesso nel corso di una seduta del Senato della Repubblica.

Le manovre di avvicinamento degli umani alla nostra galassia sono sensibilmente progredite nell’ultimo anno; è opportuno mitigarne l’accelerazione e non sottovalutarli.

Da monitorare nelle future missioni la comparsa di una nuova entità codificata come Nuovo Parroco, depositario non apicale della morale e dell’ultraterreno.

Dal pianeta terra è tutto.

NA-NO NA-NO



Classificazione: 4 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Sinner, il sardo

Ha preso il via nei sinuosi tornanti di Scala di Djokovic, che dalla centoTrentino immette a Sassari, il battesimo elettorale di Ghjuannik Sinner, nella sorpresa generale candidato alla Presidenza della Regione Sardegna. Atterrato a bordo di un Boeing 737-200 nello scalo di Isili, sede della compagnia di bandiera EasyliJet, ha salutato deferente il pubblico distribuendo…

Il cane dell’ortolano

Sembrano ispirarsi più alla drammaturgia spagnola che alle sorti della Regione, lacerata da consumate alchimie elettorali, le iniziative che accompagnano la classe politica teresina al voto. Come il cane dell’ortolano, che non mangia né lascia gli altri mangiare, la generosa proposta di nomi e simboli rischia infatti di prosciugare le già aride risorse locali, sottraendo…

Gigi Riva

La storia di Gigi Riva è una storia di calcio in cui il calcio diventa marginale. E’ una storia di gratitudine, di verticalità morale, di passione. Non esiste sardo che, pur non avendo vissuto la sua grandezza sportiva, non lo abbia amato o non abbia almeno un aneddoto da ricordare: la sciarpa di un padre,…

Se è porno, tolgo

E niente! Faceva già ridere così. Fu l’ennesima estenuante richiesta per un amico a tradirlo. A rendere ancor più breve una storia già breve e triste. Un solo anno. Un anno di loro, semplicemente loro, che documentavano tra ricorrenze patinate, apericena e il compiacente mutismo di Romeo e Giulietta. Un anno di loro, ma anche di noi che li abbiamo sopportati. Dal buongiornissimo del mattino, quando lei gli serviva il caffè a letto, alle braccia di Morfeo, alle quali lui la affidava allo scoccare della mezzanotte.

Ma non tutte le notti sono uguali. E neanche i Morfeo. Quella notte, mentre lui era fuori per lavoro, Morfeo, che nella vita reale faceva il commesso e si chiamava Paolo, raggiunse casa sua, a mezzanotte.

Immaginate, poche ore più tardi, lo stupore del marito, rientrato in anticipo dalla riunione. Trovò la porta aperta. Evidentemente la moglie aveva dimenticato di chiuderla. Trovò gli indumenti intimi sparsi tra il divano e la scala. Evidentemente le erano scivolati. Un equivoco ansimare proveniva dalla camera da letto. Per interpretare la scena, e le simmetrie, dovette inclinare la testa e capire dove iniziasse il corpo dell’una e finisse quello dell’altro. Fu così che risalendo il corpo maschile, prima le gambe, poi la pancia, poi il viso, riconobbe Paolo. Il suo amico d’infanzia. Il suo compagno di banco. Il suo testimone di nozze. Un ragazzo umile, rimasto tale anche in quella circostanza, mentre Monica – questo il suo nome – bramosa di sperimentare nuovi piaceri, urlava: «Adoro! Sì, Paolo, sì! Muoro!

Le sorprese, quelle belle.

Come asfalto, gli eventi si stesero sulla sua esistenza, compressi dall’infinità del cazzo che a Paolo fregava dei suoi turbamenti, della sua fedeltà, della sua delusione.

Vita mia! Come hai potuto farlo? Io… Veramente… io, boh!
Amore, non è come credi, replicò lei. Lo sai che ti lovvo! Posso spiegarti tutto!
Grazie cara, anche no!

Con furia leonina, brandì il primo oggetto che gli capitò sottomano, la tastiera del computer, e si avventò senza tregua sui due amanti. Sull’uomo in particolare – della serie, Taffo spostati – non furono lievi né i colpi né la terra sotto la quale fu sepolto.

Risuonò profetico un pensiero di Paolo, secondo il quale l’umanità meritava l’estinzione. Una ricetta definitiva. Una delle tante per le quali chiedeva di essere seguito. E cosa fai, te ne privi?  ripeteva.

Niente affatto resiliente, non ancora abbandonata l’immagine dell’amico che si dimenava sul corpo della moglie, maturò la sua vendetta. Deponendo la corona, con una narrazione sconcia e dettagliata, rese edotto il quartiere dell’oltraggio subito; la dicitura post muto scorreva idealmente sulle prove del tradimento. Game set match, tutto in una notte.

Severo ma giusto, sussurrò un impiegato a cui non era mai toccata una gioia e che aveva subito un’analoga sorte. Un ciaone da manuale. Una vera inculata.

Se è porno, tolgo.

 

P.s. non è Lercio

 

Vinci Muntoni

Ebbene sì, finalmente è tornato il… VINCI MUNTONI!!!😎
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In tutti i casi, gli utenti che per primi metteranno il “Mi piace” otterranno un punteggio maggiore.

 

 

Senzanome

Il buon senso

L’adagio manzoniano secondo cui il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto per paura del senso comune, sembra pensato per studiare l’ultima aberrazione di casa Zuckerberg: la condivisione dei manifesti funebri.

Consumata la migrazione esistenziale nello spazio dell’internet, che per un gioco di simmetrie invertite rappresenta vite che non viviamo, in cui le più comuni fragilità sono represse a beneficio della vacua ostentazione,  era inevitabile che anche il lutto si congedasse dal mondo terreno.

Inaugurato dall’improntitudine delle condoglianze in bacheca, affidate a delle cazzo di faccine lacrimanti, da qualche tempo ha preso corpo il malvezzo di condividere, oltre alla notizia della morte, l’affissione funebre, generando imbarazzanti equivoci sull’interpretazione dell’apprezzamento.

Escluso che  assolva a una funzione pubblicistica, essendo il nostro paese maestro nella sottile arte del pettegolezzo e della divulgazione, fatico a intercettare (in questa pratica) un’utilità che non sia la ricerca di visibilità.

E’ una liturgia indigesta, volgare, in essa prospera la miseria della retorica, la contaminazione delle componenti nobili del lutto: l’intimità e il contegno. Meglio  abbandonarsi agli sguardi, ai silenzi, ai sussurri, ma non al dolore plateale. Piuttosto, meglio l’irrisione del defunto, come l’istrionico elogio a Formichella ne I nuovi mostri:

Quando io al telefono gli dicevo: «Pronto? Pronto, chi parla?  Pronto, chi è?» 
-E tu gli rispondevi: «stocazzo!»

Io voglio essere ricordato così, come Formichella, dall’altra parte della cornetta.

Naturalmente, non c’è fretta.

 


 

L’invasione degli imbecilli

Quando Umberto Eco lanciò l’intemerata contro la degenerazione delle nuove piattaforme comunicative, io stesso, da imbecille, pensai: «ecco l’intellettuale che demonifica  gli strumenti ai quali non riesce a omologarsi». In verità bofonchiai un eretico vaffanculo, ma il concetto era quello.

I social media – disse – «danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».

Traduco. Se in un  bar del mio paese (ne abbiamo tanti per favorire il contradditorio) un avventore elargisce insegnamenti su materie che per limite culturale o intellettuale non gli competono, immantinenti, la persona viene congedata con invito a fare in culo. E’ una sorta di anticorpo sociale. Al contrario, quando la scienza da bancone viene esercitata nello spazio virtuale,  a ogni censore che esorta a non andare oltre certe solennità corrispondono altrettanti fomentatori.

Questa meccanica – attirando o respingendo le esuberanze della rete – aiuta non solo capire la forza persuasiva di un  cretino (mai sottovalutarla), ma è utile nella comprensione di questi nuovi strumenti. Mentre Facebook  è l’amante disinibita che lasciando libertà di sproloquio  non si nega a nessuno; Twitter ha una genetica selettiva, i suoi indici di popolarità  oscillano in rapporto a variabili sofisticate e il difficile proselitismo argina il delirio e l’ipertrofia dell’ego.

Non a caso persone che su Facebook sembra possano spostare l’asse di rotazione terrestre, si eclissano quando varcano il meridiano di Zuckeberg. Riluttanza che sintetizzano affermando un sospetto disinteresse .

Che la schiettezza di Eco svelasse intuizioni fondate è confermato dalla diffusione di alcuni preoccupanti fenomeni.

E questo è il punto. Fino a quando l’apertura delle gabbie si sostanzia in farneticazioni strampalate ma innocue – tipo il manovale che vuole insegnare al ministro dell’economia come redigere una manovra finanziaria o il fruttivendolo che definisce le linee per arginare il fondamentalismo islamico (casi risolvibili con il riposo e un’alimentazione equilibrata) -, il fatto suscita anche tenerezza; ma se la teoria esula dall’astrazione e declina in pericolo sociale, il turbamento è legittimo.

Emblema di questa deriva è la campagna antivaccinazione. Facendo leva su correlazioni non dimostrate e infondendo l’insana convinzione che la normale profilassi germini l’interesse delle case farmaceutiche,  aggregazioni transitorie e apprendisiti stregoni stanno strutturando un sistema che rischia di minare la prevenzione delle malattie infettive.

E’ vero che giusti e folli si ripetono come il destino comanda, ma l’improvvisazione sulla salute non è tollerabile. Un confronto ci dev’essere, questo è pacifico, ma deve nascere, svilupparsi unicamente in campo scientifico, tra persone dotate di formazione, conoscenza, competenza.

Continuate a pubblicare gattini.

C’era un Volta

 

C’era una Volta un inventore, che non avendo più nulla da inventare inventò una storia.

Intanto gli serviva una penna. Bussò alla porta del dottor László, l’anziano dirimpettaio ungherese, e non ottenendo risposta lo raggiunse in cortile, dove trascorreva il tempo a osservare i bambini che giocavano a biglie.

Prima di risalire le scale, fece tappa dal fruttivendolo sotto casa. «Allora Isacco – gli disse -, mi dai duecento grammi di noci e un chilo di mele». «Certo – rispose il fruttivendolo –  e le regalo anche questa, appena caduta dall’ albero». Senza un’apparente logica, l’inventore andò su tutte le furie, lamentando la gravità del fatto. Abbandonò la merce sul banco e si allontanò sbattendo la porta. L’urto fu tale che i vetri tremarono. Il commerciante rimase di stucco, ma fino a un certo punto. Aveva sentito parlare di quel tizio che in paese chiamavano l’inventore, non tanto per i brevetti depositati, quanto per la bizzarra abitudine di inventare polemiche pretestuose.

In realtà l’inventore – che evidentemente così matto non era –  aveva inscenato quella pantomima per mascherare una sua dimenticanza. Infatti, quando il commerciante si era chinato per riempire le buste, si era ricordato di aver già fatto la spesa il giorno prima.

Percorrendo la via di casa, fu attratto dalla pubblicità di un salone concessionario: puoi averla di qualsiasi colore – recitava lo slogan – purché sia nera.  Nonostante il debito di riconoscenza nei confronti di Barsanti e Matteucci, quel Ford ci sapeva fare.

Rientrato  nell’appartamento, diede le due canoniche mandate e allungò la mano in direzione dell’interruttore posto accanto al divano, irradiando quella bizzarra palla di vetro a incandescenza vendutagli dal commesso della ditta Edison, di sicuro più affidabile del signor Göbel, un vecchio elettrotecnico di Hannover, amico di famiglia.

Stava pensando a come iniziare la sua storia, raccolto nell’ispirazione, quando squillò il telefono. Sollevò la cornetta:

-Pronto?  – Seguì il silenzio –
-Pronto?   …Pronto?
-Pronto, chi è?
-‘Sto cazzo! Gli rispose dall’altra parte dell’apparecchio quel buontempone di Meucci.

Lo scherzo era vecchio quanto il mondo, ma divertiva sempre. Era il 1894 quando per la prima volta lo sperimentò nel programma radiofonico di Guglielmo Marconi. Con Galileo si appostavano nell’appartamento antistante l’abitazione della vittima e, col cannocchiale, assistevano divertiti alle sue reazioni durante la conversazione.

Meucci trascorreva intere giornate architettando scherzi, si divertiva così. Al termine della telefonata, nel corso della quale non aveva lesinato improperi, l’inventore recuperò i suoi appunti,  impugnò la penna a sfera e iniziò il suo racconto.

Era estate, il sole del primo pomeriggio era torrido, estenuante, e l’unico liquido caduto sul patio era scivolato dalla fronte del condannato, sul quale erano puntate le baionette del plotone di esecuzione agli ordini del generale Winchester.

Una voce ruppe il silenzio: «Caricare! Mirare! Spar…»

Fece appena in tempo a pronunciare l’ordine di esecuzione che il condannato, un soldato geniere di origini toscane, divorato dal terrore, perse i sensi e rovinò al suolo. Fu la sua fortuna.

Ancora uno squillo,  ancora una volta Meucci.

Fermate tutto – intimò -, non è lui il condannato. Quell’uomo è Leonardo, il maestro d’arti giunto da Vinci.

Spiegò che il condannato non doveva essere condannato e che l’ equivoco era stato originato dall’errata interpretazione dei codici decifrati dal professor Turing, che tardivamente aveva  manifestato le proprie doglianze al condannato redivivo.

Il professor Turing, fin dall’infanzia appassionato di enigmistica e di anagrammi,  si era perduto nel rimescolamento dei codici e aveva confuso il passaggio “le giornate di sole” con “il soldato geniere”, stravolgendo il senso del messaggio e rischiando di spedire al creatore il povero soldato.

Nei giorni a venire, l’episodio fu ampiamente dibattuto, non senza qualche nota di colore.

Come un’accolita di masnadieri, operai e intellettuali si davano quotidiano appuntamento nello spaccio della stazione, dove tutto deragliava, fuorché le malelingue.

Quel giorno, un martedì, reduci dall’amichevole Italia-Francia, i primi ad arrivare furono Bialetti e Pasteur.

Per me un caffè – chiese Bialetti –
Anche per me – seguì Pasteur – con un goccio di latte caldo.

In quel momento, sventolando il giornale, entrò Guttemberg, l’orafo del paese, che unendosi al chiacchiericcio dei clienti, commentò non senza malizia l’episodio di Leonardo. «Ehi, leggete qui!» Si vociferava che durante i primi soccorsi prestati dal dottor Fleming, il ferito avesse tentato di concupire il suo soccorritore.

L’atmosfera irridente aveva contaggiato un po’ tutti, e sorprese l’improntitudine con la quale Nikola Tesla, di solito riservato, carezzò gli istinti più bassi concedendosi una battuta licenziosa sull’attenzione di Leonardo per il pendolo di Foucault.

Ma quanto siete noiosi – commento Einsteinancora legati al vecchio paradigma uomo-donna, maschio-femmina. E’ tutto relativo.
-Sarà pure relativo – replicò Fleming – ma il culo è mio. Qui non c’è scritto giocondo, e tanto meno Gioconda. Quel maniaco ha tentato di sodomizzarmi. Per liberarmi gli ho spiattellato in pieno viso il campione di muffe sul quale stavo lavorando. In ogni caso non gli ha fatto male, sembra più vispo di prima.

La conversazione si faceva sempre più appassionata, e mentre le lancette dell’orologio si rincorrevano, l’ora del caffè era  sconfinata nell’aperitivo.

Enrico, preparaci uno dei tuoi cocktail – lo implorò Tesla, che dopo il secondo Campari cominciava ad alternare momenti di giubilo a repentini crolli depressivi.

Fermi non si lasciò pregare: «provate questo, l’ho chiamato Manhattan, una vera bomba».

Che fu una bomba lo testimoniarono le macerie fumanti del locale, e ancor prima gli apprezzamenti che tempestarono in diretta la pagina Facebook di Mark, lo studente che per quel progetto nato nel dormitorio di Harvard aveva perso la sua vita e preso quella degli altri.