Non siamo tutti Minà

Dal momento in cui le agenzie di stampa hanno battuto la notizia della morte di Gianni Minà, commosso corre il ricordo di personaggi della politica e dello spettacolo che al suo microfono hanno rivelato sogni, progetti, paure.

Fu testimone e biografo di Muhammad Alì,  Diego Armando Maradona, Federico Fellini, Robert De Niro, Fabrizio De Andrè, Giorgio Gaber, Alberto Granado. Memorabile la sua intervista di sedici ore a Fidel Castro.

Anch’io ricordo la mia prima intervista a Dario Giagoni, divenuto nel frattempo Consigliere Regionale e Deputato della Repubblica. Lo intervistai per sedici ore. Un’intervista ripugnante al massimo grado; soprattutto quando mi confessò che Michael Bolton era il suo cantante preferito.

Ricordando un’intervista a Pietro Mennea, Gianni Minà disse. Una volta l’ho intervistato per due ore, poi mi sono accorto di non aver acceso il registratore, e lui mi ha rifatto l’intervista: un uomo d’altri tempi.

Anch’io, Con Dario Giagoni, mi accorsi di non aver acceso il registratore. Lui fu molto gentile, si rese disponibile a ripeterla. Gli diedi appuntamento e non mi presentai.

Non siamo tutti Minà.



  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

La Putin Doll

La Putin Doll è una linea di bambole tutte simili, interscambiabili negli abiti e nei ruoli, commercializzata da Mattel Corporation  e ideata sul modello di una partigiana filorussa. Con accessori vendibili separatamente, è – secondo le contingenze – interscambiale con tratti identitari della politica filopalestinese, filoiraniana, filosiriana. Per venire incontro alla clientela più esigente, non ha…

Rutti

Abituati come siamo a esaltare l’autoreferenza di frettolosi interpreti digitali, abbiamo a tal punto smarrito la misura dell’arte da licenziare come stolto egocentrico uno dei più abili e corrosivi autori presenti sulla scena italiana. Autore di composizioni sopraffine e di scazzi memorabili, ha da solo nobilitato l’ultimo concerto del Primo maggio lanciando strali contro la…

Sabato antifascista

All’apparenza sembrava un sabato qualunque, di quelli che già profumano di domenica, di sveglie ritardate, di pigrizia pomeridiana. Ma non per tutti. Per Benito era il primo sabato antifascista. Così, dopo essersi lui medesimo dichiarato antifascista, Benito, alleggerito dalle funzioni corporali, si recò in cucina, accese i fornelli e avviò la preparazione del caffè dosato…

CR Serpe

La scenografica uscita di Ronaldo, da qualche ora rifugiato nella plumbea Manchester, ha inaugurato un surreale dibattito sull’agiografia del campione portoghese, imponendo, in chiave critica, una repentina inversione della linea editoriale. Una sorta di incubatrice involutiva in cui il dio si fa uomo, l’eroe si fa mercenario, la carne torna polvere.

Se fino a una settimana fa Ronaldo era il valore aggiunto della Juventus e della Serie A, il mero sussurro di un possibile suo trasferimento lo ha presto plasmato in zavorra, un ingrato che ha elargito meno di quanto ha ricevuto, vittima del suo personaggio e di un procuratore in volo nei cieli d’Europa alla ricerca dell’ultimo clamoroso affare.

Eppure ce la stavano descrivendo in modo diverso, pagine spese a raccontare quanto la Juventus fosse attrattiva, quanto il marchio bianconero avesse influenzato la scelta dell’atleta e della sua industria, ragionevolmente interessata più alle pendenze col fisco che a nuove prospettive professionali.

Introdotti da declamazioni fanfaresche, si ergevano con ritualità liturgica approfondimenti sul tono muscolare di almeno dieci anni più giovane, sulle marziane doti atletiche, l’elevazione, il taglio dei capelli, il parco macchine, le abitudini domestiche, il jet privato, il gatto, il candore dei suoi denti, l’innovativa e moderna collezione di biancheria intima.

Una ginnastica linguale educata ma dimentica della contrazione che l’investimento ha recato all’equilibrio finanziario e alla competitività della società. Fattore che anche i cronisti più apostolici, impegnati com’erano a indagare la contabilità interista, abiurando all’ordine religioso, hanno pudicamente segnalato. Nessun rilievo era stato dapprima contestato alla gestione Agnelli.

Una clamorosa ammissione di inadeguatezza, evidenza del declino nel quale il giornalismo sportivo è da tempo naufragato, che ha raggiunto l’acme, a Mediaset, nei settimanali collegamenti con un signore cinese connesso dal sottoscala di una remota contrada d’oriente.

Nel frattempo, anche se per una sola squadra si è parlato di ridimensionamento, ieri si è conclusa la sessione estiva di mercato: è partito Ronaldo, è partito Lukaku, è partito Hakimi, è partito Donnarumma, è partito De Paul, Paolo VI non c’è più, è morto Berlinguer, qualcuno ha il Covid, qualcuno il PRE, qualcuno è POST senza essere mai stato niente.

Grazzie a tutti.



Classificazione: 4 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Il demone

La beffa più grande che Simone Inzaghi abbia allestito dal suo approdo alla guida dell’Inter, parafrasando Keyser Söze ne I soliti sospetti, è stato convincere il mondo che lui non esistesse. Non esisteva quando, immersa nell’amnio del recente passato, la Juventus richiamava al capezzale Massimiliano Allegri. Non esisteva quando, per allineare i bilanci a più sostenibili…

La ruota

**** C’era una ruota molto carina Scendendo al porto, giù alla marinaNon si poteva salirci dentroQuando ostinato soffiava il vento Non si poteva vedere nienteIn quella zona non c’era gente Non si poteva fare pipìIl depuratore era già lì Ma era bella, bella davveroMeglio di quelle di Olbia e di AlgheroMa era bella, bella davveroE…

EST

Compulsando i diari dei viaggiatori, nella programmazione della nuova meta, mi è rimasto impresso il commento di una ragazza che, in termini esperienziali, affermava che la Romania non le aveva lasciato nulla. Un commento netto, algido, prossimo all’indifferenza. Sarà la mia passione per i paesi dell’est Europa, la ferita portata a quelle terre dalla spietatezza…

I necessari provvedimenti

Torralba, giugno

 

Gavino Calvia, anzia Calvia Gavino è il custode del più importante nuraghe della Sardegna, o per lo meno quello meglio conservato, quello di Santu Antine, che vorrebbe dire San Costantino, e gli fa quasi concorrenza con l’età perché ha novant’anni suonati. E’ uno dei pochi che portano ancora «sa beretta». Ha un bel paio di baffi bianchi sul viso cotto dal sole, e quando gli chiedo come ha fatto a mantenersi così bene in salute, mi risponde: «Non mi sono mai impicciato dei fatti altrui».

In Sardegna è questa la ricetta per non finire prematuramente nella fossa, specie quando si fa a custode di un nuraghe solitario dove qualche viandante ogni tanto può cercar rifugio durante la notte e dove qualche carabiniere può venire a chiedere se  qualche viandante vi ha trovato rifugio. Di questi «fatti altrui» Gavino non si è mai accorto. Egli non ha visto passare che branchi di corvi, greggi di pecore e stormi di pernici. Per questo è invecchiato così bene e a lungo. La dieta non c’entra.

Gli danno di stipendio quattromila lire al mese  per questo immobile lavoro che tuttavia comporta quattro chilometri di marcia all’alba per andare al nuraghe e quattro la sera per tornare a casa. Non tutti i giorni, da qualche tempo in qua, egli si sente di batterli. Ogni tanto vi manda suo nipote che ha vent’anni, ma che già fornisce garanzie di resistenza alla tentazione d’impicciarsi dei fatti altrui. Buon sangue non mente, e quello dei Calvia è ottimo.

Gavino  non ricorda con esattezza in che anno iniziò il suo mestiere, Ricorda soltanto che in quel momento al governo c’era Crispi, il quale un giorno venne a visitare il nuraghe. Ci venne a cavallo perché a quei tempi  non c’era nemmeno una mulattiera, seguito da uno stuolo di personaggi minori fra cui anche l’archeologo che gli fece una lunga spiegazione. Crispi ascoltò con molto interesse, e nell’andarsene strinse la mano a Gavino e gli chiese quanto guadagnava: «Sei lire e cinquantaquattro centesimi al mese, meno le trattenute» rispose il custode. «Così poco?» sobbalzò il Presidente del Consiglio. E, rivolgendosi al segretario, gl’ingiunse di prendere nota della cosa e di sviluppargliela in un appuntino per «i necessari provvedimenti».

Trascorsero giorni, settimane, mesi, ma i necessari provvedimenti non giunsero. Giunse invece, alcuni anni dopo, Re Umberto che, venuto in Sardegna a raccogliere l’omaggio dell’isola fedelissima fu condotto anche lui a vedere il nuraghe. Lo seguivano a cavallo centinaia di notabili in costume, e in costume, a cavallo, c’era anche la Regina Margherita che con la sua bellezza imbambolò Gavino. Essa si accorse della stupefatta ammirazione di quel giovane che, guardandola, non riusciva a spiccicar parola, e a un certo punto gli chiese di dov’era e quanto guadagnava. «Sette lire e venticinque centesimi al mese, meno le trattenute» rispose Gavino. «Così poco?» sobbalzò Sua Maestà e, fatto cenno al suo gentiluomo di Corte, gl’ingiunse di prender nota della cosa e di sviluppargliela in un appuntino da sottoporre al Re «per i  necessari provvedimenti».

Trascorsero giorni, settimane, mesi, ma i necessari provvedimenti non giunsero. Gavino ne fu sinceramente stupito, e ricordando che  la regina aveva parlato di fronte al sovrintendente alle Belle Arti da cui dipendeva, andò da costui a rammentargli l’episodio. Il sovrintendente promise di scrivere alla regina per rammentarle a sua volta la promessa, ma pochi giorni dopo fu trasferito in continente, e Gavino non seppe più nulla di nulla.

Un giorni si sparse la notizia che il nuovo Capo del governo Giovanni Giolitti sarebbe venuto a visitare il nuraghe. Stavolta Gavino pensò di prevenirne le domande, e l’appuntino che doveva servire di base ai «necessari provvedimenti» se lo fece compilare per conto proprio dal maestro elementare del paese in modo da averlo bell’e pronto quando l’illustre ospite ne avesse ordinato al segretario la redazione. Ma Giolitti all’ultimo momento disdisse la visita. Aveva saputo che mancava la strada per arrivare al nuraghe e che quindi bisognava andarci a cavallo. E lui a cavallo non sapeva o non voleva andarci.

Gavino si fece per quel rifiuto un’idea molto scarsa del Presidente del Consiglio, ma la corresse quando vide che quello stesso anno si poneva mano a una mulattiera. Forse il Presidente del Consiglio non c’entrava per nulla in quell’iniziativa, ma Gavino gliel’attribuì e si convinse che, quando la mulattiera fosse finita, Giolitti sarebbe venuto, avrebbe letto l’appuntino e  preso i necessari provvedimenti. Purtroppo invece Giolitti cadde prima che la mulattiera fosse finita e altri anni trascorsero a sette lire venticinque centesimi al mese. meno le trattenute. Finché fu annunziato che stava per arrivare il nuovo Re Vittorio Emanuele III, da poco succeduto al padre assassinato. Gavino tornò dal maestro elementare e fece tradurre l’appuntino in una supplica bell’ e buona che, a scanso di equivoci, venne anche sottoposta all’approvazione del maresciallo dei carabinieri. Ma il Re non la prese. Egli s’interessò al nuraghe molto più di quanto avevano fatto tutti i suoi predecessori, discusse a lungo col suo sovrintendente e con l’archeologo, mostrandovi grande erudizione e competenza, tutte le teorie che si sono formulate intorno a quelle ciclopiche costruzioni. E quando, al momento di andarsene, Gavino gli si parò davanti con la supplica in mano, gli chiese come si chiamava, di dov’era e che campagne aveva fatto.

Alle prime due domande Gavino ripose, ma alla terza dovette confessare che campagne non ne aveva fatte punte perché, come figlio unico di madre vedova, lo avevano esentato dal servizio militare. L’ombra della delusione calò sul volto del Re che passò oltre, senza che il postulante trovasse il coraggio di porgergli il foglio.

L’anno dipoi, Giolitti, ridiventato Capo del Governo, venne davvero, venne in carrozza, con un gran cappello a larghe falde, visitò il nuraghe fumando il sigaro, ascoltò distrattamente le solite spiegazioni dell’archeologo, e alla fine chiese al sovrintendente quanto costava il mantenimento del nuraghe. Il sovrintendente dovette ammettere che costava solo lo stipendio del custode, lire sette e novantasei centesimi al mese. «E’ poco» disse Giolitti senza guardare Gavino che aveva bruciato la supplica perché si era convinto ch’essa gli portava sfortuna, e senza ordinare al segretario di prendere il solito appuntino. Ma  il mese dopo lo stipendio fu elevato a lire nove e trentotto centesimi, meno le trattenute, che purtroppo si erano un po’ elevate anch’esse.

Per parecchi anni più nessun grande personaggio venne al nuraghe di Santu Antine. Passò la guerra di Libia, trascorse quella mondiale, e Gavino sentì dire che l’Italia era diventata un grande paese, ma non se ne accorse. Per quanto con rapidi sbalzi il suo stipendio fosse aumentato a quaranteasei lire e quarantacinque centesimi, non aveva l’impressione di vivere in condizioni migliori di prima. Anzi. Per cui quando gli fu annunziato che il nuovo Capo del Governo, Mussolini, avrebbe visitato il nuraghe si propose di dirglielo. Ma Mussolini non gliene lasciò il tempo. Arrivò in divisa, tanto che Gavino lì per lì pensò di essersi sbagliato e che quello fosse un nuovo re. Volle percorrere l’ultimo tratto a piedi, con passo di bersagliere, salì d’un fiato in cima alle mura, disse agli astanti: «Dall’alto di questi massi quaranta secoli di storia ci guardano». Ridiscese, spiegò lui all’archeologo cos’erano i nuraghe, e chiese a bruciapelo a Gavino se era fascista e quanto guadagnava. Gavino rispose candidamente che per essere fascista non guadagnava abbastanza. «Quanto?» incalzò Mussolini.  Gavino glielo disse. «Così poco?» tuonò il duce, che ancora non era tale, ma tale già si sentiva. Chiamò non uno ma tre segretari che si piantarono sull’attenti sbattendo i talloni e ingiunse loro di prender nota e di svilupparla in un appuntino per «i necessari provvedimenti».

Gavino capì che quella non era come le altre volte, e corse a iscriversi al fascio, convinto di guadagnare ormai abbastanza da poterlo fare. Ma le quarantasei lire e quarantacinque centesimi restarono quarantasei lire e quarantacinque centesimi per un pezzo, e quando cominciarono a salire fu quando anche tutto il resto era già salito, e molto più impetuosamente.

Trascorsero anni senza visite di personaggi famosi di rilievo da cui si potessero sperare aumenti. Un giorno nel nuraghe di accamparono dei soldati tedeschi , ai quali Gavino accese il fuoco e arrostì un capretto. Un altro giorno al nuraghe fecero sosta dei soldati americani ai quali Gavino accese il fuoco e arrostì una porchetta. Come si fossero svolti i fatti Gavino non lo sapeva, ma considerandoli «altrui» teneva fede alla sua regola di non impicciarsene, e quindi nessuno seppe mai né del capretto né della porchetta. Finché un giorno venne un nuovo re, che non si chiamava re, ma Presidente della Repubblica. Arrivò in macchina perché ora c’era la strada, e Gavino vedendolo pensò che somigliava all’altro re.

Come l’altro re infatti s’interessò molto al nuraghe, sebbene zoppicasse ne ispezionò con cura tutti gli anfratti, discusse a lungo col sovrintendente e l’archeologo, mostrandovi grande erudizione e competenza, tutte le teorie che si sono formulate intorno a quelle ciclopiche costruzioni, e alla fine chiese a Gavino da quanti anni era lì e quanto guadagnava. Gavino rispose ch’era lì da sessant’anni. «Perbacco!» fece  con ammirazione il presidente. Poi Gavino aggiunse che il suo stipendio era di tremilasettecentosettantadue lire e cinquanta centesimi. «Perbacco!» ripetè il presidente nella stessa intonazione.

E’ stato l’ultimo grande personaggio che ha visto. E’ da allora si è formata la convinzione che anche i fatti propri, per gli altri, sono fatti altrui.

 

Indro Montanelli

 


Titolo originale: Re e presidenti stupefatti davanti al custode del nuraghe.

Nessuno dei potenti voleva credere ch’egli guadagnasse così poco e prendevano nota e facevano precise promesse; ma in sessant’anni il caso non è stato ancora risolto.

 

 


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® Foto: Maurizio Cossu, acquisita dalla archivio immagini di Google

Terzo tempo

Una  piccola storia ignobile, direbbe Francesco Guccini, così solita e banale  che non meriterebbe  nemmeno due colonne su un giornale. E l’episodio di Trinità d’Agultu quelle colonne non le avrebbe meritate se l’ossessione di fare notizia non avesse inquinato il giornalismo.

L’ episodio degli atleti africani insultati durante l’incontro Trinità d’Agultu – Santa Teresa [seconda categoria], per quanto deplorevole, e per quanto sia impopolare affermarlo, lo inquadro in quella franchigia del male congenita all’agonismo, a quel furore che nulla ha da spartire  con l’odio razziale.

Se la mettiamo su questo piano, badate, dall’accusa di razzismo non esce vivo nessuno. Chi almeno una volta nella vita ha frequentato un campo di calcio o un  bar dello sport conosce le tensioni connaturate al tifo sportivo; situazioni estreme in cui anche un gesuita rimetterebbe in discussione i fondamentali della civiltà.

E’ un problema di educazione, non di odio. Gli africani di oggi  sono gli slavi di ieri, i rumeni, i napoletani, i sardi. Anche se l’insulto rivolto ai sardi si presta a un’analisi più elaborata, perché correlata a precisi fattori  endemici: una cosa è essere sardi di Lodè, altra è essere sardi di Orgosolo. L’offesa ha le sue sfumature.

L’argomento è comunque da maneggiare con cura, meglio se con una punta d’ironia, tanto più in  un momento in cui il razzismo fluttua nel pelago elettorale, con tratti di pericolosità associati alla mancanza di originalità. Come certi contributi giornalistici.

Di Mercoledì / 2: Studio Agnello

[una rubrica poco utile] 

senzanome

 

 

Studio Agnello

L’ossequio con il quale Italia uno ha rivelato la fascinazione animalista di Silvio Berlusconi. Un manifesto di sobrietà, eleganza, evangelismo.

[da studio aperto del 10 aprile 2017, pianeta terra]

La politica, l’impresa, le vittorie, certo, e poi le immagini che raccontano da sole del cuore e dell’anima di una persona. Eccolo Silvio Berlusconi, ripreso nella sua umanità più vera, in un pomeriggio di sole accanto a cinque agnellini salvati da morte sicura per le prossime festività pasquali. 

Più delle parole parlano i gesti. E’ bastato poco perché il segnale forte lanciato da Michela Vittoria Brambilla in difesa degli animali e della natura venisse raccolto e amplificato da Berlusconi e dalla sua compagna Francesca Pascale, che dell’amore per questi nostri fratelli minori ha fatto una ragione di vita.

Amen.

Che dio la benedoca

Cristo santo, che noia. Ha ragione Feltri. Punto.

E’ un titolo politicamente scorretto, va bene, è sottilmente volgare, ma è un titolo ironico, geniale. Non mi scandalizzano (anzi, li difendo) i titoli di Charlie Hebdo o quelli del Vernacoliere, figuriamoci se mi formalizzo con la patata bollente.

La vera questione non è il sessismo boldriniano, di quello non frega niente a nessuno. Ho serie difficoltà ad accogliere tanta indignazione per un virtuosismo semantico, lesivo – secondo la vulgata – dell’onorabilità del sindaco Raggi.

A proposito, sindaco, non sindaca. L’epidemia delle declinazioni al femminile è aberrante e non misura il rispetto nei confronti della donna.

E’ una  polemica sterile, pretestuosa, da campagna elettorale imminente. Ricorda l’ottimo Feltri,  che quello stesso titolo, senza suscitare clangore,  lo scrisse qualche luna fa per il caso Ruby.

Non capisco se il problema sia l’ortolano, il tubero o la temperatura del tubero. Di sicuro la prurigine sessista è una paraculata. E anche voi siete un po’ paraculi. Se quella medesima battuta l’avesse fatta un amico, un compare, siate sinceri, vi sareste indignati? Solo sulla  farfallina di Belèn, che è pur sempre quella roba lì,  si potrebbero scrivere interi zibaldoni.

La verità  è la vostra antipatia viscerale per il giornale Libero, che con intuizioni geniali,  in questo caso anche simpatiche, rompe i paradigmi e polarizza l’attenzione di tutta la stampa, ottenendo, con l’indignazione, soldi e pubblicità.

Immaginate oggi la faccia degli inserzionisti di Libero.

Io non provo solidarietà per la Raggi. Anzi, sapete cosa vi dico, non me ne frega proprio nulla. Zero.

 






L’australiano [speciale elezioni]

Occhiali spessi da pentapartito, occhio azzurro e tagliente, gobba da consumato stratega democristiano. Così si presenta all’incontro Paolo Sardo, reduce da una notte insonne, dopo le polemiche degli ultimi giorni.

[D] Paolo Sardo, prima di dare corso all’intervista, la redazione Le ha preparato una sorpresa. Vuole vederla?
[R] Si, sono molto curioso.

Paolo Sardo, 26 anni, teresino, figlio di papà Michele, commerciante, e mamma Marcella, cuoca. Brusco e cordiale, misurato e demagogo, irrequieto e riflessivo. Di privato in lui non c’è quasi nulla.

Già alle elementari si intuisce che non sarà una persona comune. In prima, durante un’ uscita con i compagni di classe e la maestra, va a mangiare una pizza, cade e si provoca una distorsione alla colonna vertebrale che minaccia di tenerlo fuori fino al termine dell’anno scolastico. Per i compagnetti è un eroe, per il padre è una caduta doppia come la libidine con i fiocchi di Jerry Calà. Folgorato dal successo del film Titanic, e dal fascino casereccio di Leonardo Di Caprio, decide di farsi biondo, ma la famiglia lo osteggia e in lui monta il rancore. In un giorno apparentemente comune, a soli otto anni, si allontana  da casa, volgendo verso il campetto di Ziruddu e affidando le sue volontà a una lettera sconcertante: “ciao, io me ne ando, perché non mi fare i capeli biodi”.

Inizia la ricerca di Rose, teorizza l’amore tra differenti classi sociali, ma incontra soltanto Giandomenico Ziruddu, che lo riporta a casa nonostante la resistenza del fratello Pierpaolo, secondo il quale ” era andendi be’!”. La passione crescente per il mare lo porta a La Maddalena, maturità all’istituto nautico Millelire. E’ tra le aule che nasce la passione politica: milita nel fronte della gioventù, teorizza lo scontro frontale,  resiste a tutti e a tutto, passando attraverso scissioni e tentati golpi interni, ma ne esce sempre vincitore. Sembra destinato a una carriera folgorante, ma a rimanere folgorato è il suo cuore. Si innamora, non capisce più un cazzo, perde i capelli, cambia taglio e si rigenera all’ombra degli ideali di sinistra. Forum dei giovani, associazionismo e relazioni sociali i suoi fiori all’occhiello, ma è anche batterista, promessa del calcio e seduttore seriale. Nel duemiladieci si iscrive al PD e coordina la campagna elettorale di Bersani per le primarie contro Renzi. Bersani vince ma è l’inizio di un calvario (il monte, non l’imbarcato). Privo di maggioranza, non riesce a costituire il governo; perde la guida del partito; colpito da ictus, lotta tra la vita e la morte; Renzi diventa segretario prima e presidente del consiglio poi, consolidando un primato inimmaginabile pochi mesi prima. Alla proposta di coordinare la sua campagna elettorale, Stefano Pisciottu gli ha risposto: “tranquillo, faccio da solo”.

Nel duemilatredici inizia la corsa verso un nuovo continente e si imbarca per l’Australia. La sua avventura inizia il 12 novembre a Brinsabane. Dicevano che avrebbe mollato, invece è ancora lì. Confermando le sue doti di amatore, conosce Yuko, una giovane ragazza giapponese. Si innamora, inaugura una nuova telenovela sentimentale, ma stavolta non cambia partito; anzi, rilancia e si candida alle elezioni comunali di Santa Teresa Gallura. I suoi nemici vociferano che sia rientrato per interesse; i suoi amici lo difendono e dicono: “è una novità assoluta”. Secondo i  sondaggi, con lui Pisciottu ha la vittoria in mano.

[D] Buongiorno, Paolo Sardo.
[R] Buongiorno.

D] Partiamo da quest’ultima considerazione: con lei Pisciottu ha la vittoria in mano?
[R] Ecco, questo non credo (cit.)

[D] Da quanti anni viaggia e trascorre parte della sua vita in Australia?
[R] Dal novembre 2013, anche se non sono stato sempre in Australia.

[D] Secondo un famigerato quotidiano, particolarmente diffuso a casa di Bruno Fadda, Lei sarebbe rientrato dall’Australia per accettare l’offerta di una candidatura poco trasparente. Cosa c’è di vero?
[R] Assolutamente niente, io sto rientrando principalmente perché insieme ad altri tre soci intendiamo prendere un chiosco in gestione. Avevo già ricevuto una precedente richiesta di candidatura durante l’ultima riunione di partito, prima della mia partenza. Si sapeva che in caso di un mio rientro mi sarei schierato a sinistra.

[D] Si vocifera che i suoi trasferimenti aerei siano finanziati dal clan dei marsigliesi. Lo conferma?
[R] [ride] Certo, ho una valigia piena di sapone che lo conferma.

[D] Il direttore Fadda, trincerandosi dietro un semplicistico “si vocifera“, insinua che l’eventuale vittoria di Stefano Pisciottu Le garantirà un’occupazione annuale. Esiste veramente una contropartita per il suo rientro?
[R] Faccio parte del PD dal 2010, ho portato avanti come coordinatore la campagna per le primarie a favore di Bersani. Se avessi voluto qualcosa in cambio, l’avrei chiesta tempo addietro.

[D] Come ha reagito quando ha appreso la notizia?
[R] Inizialmente ho pensato si trattasse di uno scherzo, poi mi sono ricordato chi fosse l’autore. Ora dice di non aver scritto niente di offensivo nei miei confronti, e lo capisco, per lui non è un’ offesa dire che mi candido per una contropartita, per lui questa è politica di alta scuola. E ora è meglio che mi fermi!

[D] Un giornalista non dovrebbe assumersi la responsabilità di quello che scrive?
[R] Certo, ma forse dovremmo vedere le cose da un altro punto di vista. Lui non è un giornalista, e l’ordine dei ciattuloni non è stato ancora costituito.

[D]  Possiamo dire che certo giornalismo sia come il mare d’inverno, ovvero un concetto che il pensiero non considera?
[R] Potrebbe essere visto in questa maniera.

[D] Diffamare le persone, sostenendo  poi che “ in campagna elettorale se ne sentono di cotte e di crude“  non è uno strumento disonesto e fuorviante?
[R] Credo proprio di si, ci sono le voci e i fatti. Le voci, per quanto mi riguarda, sono aria fritta, con i fatti la situazione è ben diversa.

[D] Adoperando lo stesso strumento,  ha mai sentito vociferare qualcosa sul direttore Fadda? Tanto siamo in campagna elettorale, e Lei sa che in campagna elettorale se ne sentono di cotte e di crude.
[R] Gli piace scrivere dopo sedute di campari; almeno cosi dicono. Ora faccio un po’ il Razzi e ti dico: “beh! io non credo!”

[D] Secondo Lei Bruno Fadda si inventa le notizie?
[R] Diciamo che il signor Fadda ama sguazzare nel sentito dire, però non quando si tratta di amici.

[D] chi è Bruno Fadda?
[R] Una persona che ha sbagliato e di conseguenza ha pagato; in ogni caso, le persone come lui hanno portato la politica distante dal popolo e dagli onesti.

[D] Che opinione ha di lui?
[R] E’ una vecchia volpe.

[D] Perché ha scritto quelle cose sul suo conto?
[R] Lui poteva anche scrivere sul mio conto, so perfettamente che la mia famiglia era orientata a destra, lo è da sempre. Saltuariamente, ho anche dovuto saltare qualche pasto a causa dei litigi di matrice politica. Però scriva la verità; sono iscritto al PD da cinque anni, non da ieri.

[D] Da quanti anni frequenta l’Australia?
Due anni. Il primo bacio è stato orribile, un uomo che mi dava una “mazza” per la raccolta del mango. Lì ho capito quanto era dura la vita degli schiavi.

[D] Secondo CairnsDiGalluraOnline, popolare quotidiano del Queensland, Lei si sarebbe deciso a partire in Australia per accettare l’offerta di una candidatura che le avrebbe garantito lavoro per  un certo numero di mesi. Smentisce anche questa versione?
[R] Mi hanno offerto un posto in un barca chiamata Marco Polo, ma ho rifiutato.

[D] In Australia cosa pensano di Bruna Fadda?
[R] Non pensano…

[D] La sua candidatura nella lista di Stefano Pisciottu ha prevedibilmente generato malumori nella lista concorrente e in famiglia. E’ stata una scelta sofferta?
[R] Molto, non volevamo rendere questa storia pubblica non per pre-tattica, ma perché volevo essere io a informare i miei familiari.

[D] Chi ha reagito peggio?
[R] Mio zio, ma era normale. Lui pensa che la sua lista sia buona, io penso tutto l’opposto. Spero che un giorno capirà le mie motivazioni.

[D] Quale punto programmatico della lista Pisciottu ha trovato più convincente? Faccia finta di conoscerlo.
[R] Lo conosco. Mi piace molto la parte che parla del turismo Eco-sostenibile; qui ho viaggiato abbastanza e Le posso assicurare che applicando le ricette che ci sono qui, probabilmente, potremmo allungare la stagione e consegnare ai giovani un lavoro come si deve.

[D] Fra i candidati della sua lista, c’è qualche figura che direttamente o indirettamente le è poco gradita?
[R] [ride] Si, Andrea Ogno. Troppo estremista per i miei gusti, sopratutto quando parla di juve.

[D] Fossi al suo posto, su questo tema, farei meno lo spiritoso. Con quali misure intende stimolare le politiche giovanili?
[R] Innanzitutto facendo sentire i giovani al centro del progetto politico. Bisogna anche concedergli strumenti adeguati per affrontare il mondo del lavoro, con dei corsi specializzati sul turismo. Occorre creare delle figure competenti in questo ambito, perché noi viviamo da quello. Poi, da buon comunista, penso che le cooperative siano un bene, per dare ai giovani la possibilità di crearsi un lavoro.

[D] Se Doddie dovesse conseguire un discreto risultato elettorale, in caso di vittoria, sarà un suo interlocutore?
[R] La mia stima per Doddie è sconfinata. Oltre a essere un vero “cranio”, si tratta anche di un amico vero.

[D]  Ha ascolta l’inno “Lungoni ormai non c’è più” che accompagnerà la campagna elettorale di Lista Nostra?
[R] Si, molto bello. Ci potete aggiungere chi trova un lavoro di un anno intero.

[D] Conosce il delegato uscente Andrea Cossu?
[R] Certo, eravamo insieme nel forum dei giovani; diciamo che lui è stato un po’ il mio mentore.

[D] Tranquillo, ci sono cose peggiori. Ha qualcosa da contestare alla sua azione amministrativa?
[R] Si, poco tecnologico, ma Andrea è cosi. Con qualche accortezza comunicativa, molte altre persone avrebbero avuto conoscenza di quanto ha lavorato.

[D] Un’amministrazione seria come dovrebbe sviluppare le politiche turistiche? Sia specifico, non si esprima con espressioni vacue e democristiane, con me non funzionano.
[R] Di certo non deve utilizzare il motto: noi abbiamo il mare.

[D] Conosce la dottoressa Antona, capolista della lista civica a Lei avversa?
[R] Di fama. Una volta con il forum, nell’ambito del progetto Andrea Quiliquini, cercammo di contattarla, ma non fu reperibile. Se non ricordo male doveva rintracciarla Paoletta.

[D] Ci ha detto di essere iscritto al PD, chi è il suo segretario locale?
[R] Gianni Godelmoni.

[D] Cos’ha fatto il PD teresino per i giovani?
[R] Il PD deve stare fuori dal forum dei giovani come tutti gli altri partiti. Questo l’ha fatto e anche bene.

[D] Durante l’amministrazione Pisciottu, Antonio Alvau è partito in America, Cristian Secci in Asia, Lei in Australia. In compenso, ci siamo tenuti zio Peppe, Domenico Borrielli e Mario Ciboddo. Cos’abbiamo sbagliato?
[R] [ride] Siete coscienti di aver tenuto i pezzi migliori.

[D] Cosa manca a Santa Teresa?
[R] Idee.

[D] Quanto è importante la cultura nell’amministrazione di un paese?
[R] Moltissimo

[D] Lei si definisce colto?
[R] Certo, ma so perfettamente che la cultura non è mai abbastanza.

[D] Facciamo una prova: assegni la paternità intellettuale a queste frasi:

[1] Purtroppo a essere buoni la si prende sempre in culo da oggi cambio divento veramente un bastardo venirmi a dire uno che mi a fatto un lavoro alla cazzo di cane che le ho detto io che la fatto male mi a detto che e un pretesto x nn pagarlo e mi a detto di essere un ebreo x quanto son tirchio tu sarai ebreo li mortacci sua!
[R] Paolo Doro [ride]

[2] Imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.
[R] E’ di un tipo a cui piaceva il nepente.

[3] Vuoi saltare gli ostacoli più li eviti e più sono li e se no li cerchi sono loro che ti cercano…per me sono tutti caga sotto e sinceramente della vita non avete capito un cazzo…
[R] Questa mi e’ sconosciuta!

[D] A me pare che non le sia sconosciuta solo questa: la prima è di Mario Ciboddo, la seconda è di D’annunzio, la terza è della buonanima di Paolo Doro. Andiamo avanti: le piace Matteo Renzi?
[R] Deve passare ai fatti!

[D] Cosa ne pensa dello scandalo Expo-tessere del PD?
[R] Una buffonata che ci costerà cara.

[D] A questo riguardo, il sito satirico Kotiomkin.it si chiede se si tratti di corruzione, ricettazione, bagarinaggio o circonvenzione d’incapace. Secondo Lei?
[R] [ride] Bagarinaggio!

[D] In questi giorni, dopo la pronuncia della corte di Strasburgo, è riemersa la questione di Carlo Giuliano, e di riflesso il dibattito manicheo sullo scontro tra forze dell’ordine e manifestanti. Lei generalmente da che parte sta?
[R] Nel mezzo! Assaltare una camionetta in trenta e pensare pure che un uomo armato al suo interno non ti spari è un’idiozia. Per la macelleria messicana la storia cambia, quelli andrebbero puniti severamente.

[D] E’ l’orientamento della corte. Ma torniamo all’Australia: quanto tempo ha impiegato a trovare lavoro?
[R] La prima volta venticinque giorni, la seconda quasi un mese.

[D] E’ un classico: la seconda dura sempre di più. Ci tornerà?
[R] Non penso. Ho ancora molti posti da vedere.

[D] In caso di elezione, come pensa di coniugare l’impegno amministrativo e il desiderio di tornare nel Queensland?
[R] Non potrei tornare, comunque il mio secondo visto scade a novembre.

[D] Sembra una minaccia per gli australiani. E’ fidanzato?
[R] Se perdo ancora tempo in questa intervista no. Fra tre ore ho l’aereo per Tokyo.

[D] Come ha conosciuto Yuko, la sua attuale compagna?
[R] A una cena tra amici.

[D] Anche Yuko è un attivista politica?
[R] Si, dello yoga.

[D] Come la vedrebbe in una lista “Osaka Adesso”?
[R] [ride] Molto bene!

[D] Si vocifera (me lo ha detto Bruno Fadda) che vorrebbe investire in Australia, è vero?
[R] No!

[D] In Australia che opinione hanno degli italiani sui temi etici? Sull’omosessualità, per esempio.
[R] Non gliene frega niente… i loro nemici sono gli aborigeni, come se non gli avessero inculato la terra.

[D] Si scagliano sugli aborigeni perché non conoscono Gasparri. Le piace Papa Francesco?
[R] Borrielli mi ha detto che di Anticristo si tratta… io lo ammiro.

[D] Anch’io ammiro Borrielli. Crede in Dio?
[R] Si, ma non nelle istituzioni come la chiesa.

[D] E’ favorevole alla manipolazione genetica?
[R] No!

[D] E’ per effetto della manipolazione genetica che nell’articolo di Bruno Fadda, in un intervallo di poche righe, suo padre Michele Sardo diventa Michele Frassetto?
[R] [ride] Così si vocifera.

[D] Andrea Cossu ha ammesso di aver pensato al suicidio tre o quattro volte. Lei?
[R] Qualche volta, come tutti.

[D] Ha paura della morte?
[R] Cazzo, se ho paura…

[D] Si vocifera che l’intervista sia finita.
[R] Si vocifera che ho perso l’aereo.

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