La sindrome di Calboni

La proposta del Ministro dei Trasporti di sanare piccole irregolarità architettoniche, edilizie e urbanistiche, profila per il Governo Meloni il quindicesimo condono in nove mesi.

Fuori da pretestuosi rilievi polemici, che miseramente prosperano nel belpaese sorridente, gli osservatori più critici fanno tuttavia notare che Matteo Salvini, affermando lo stesso principio -il rispetto della legge – chiede sia l’aumento delle multe che il condono per le medesime.

Il disturbo è definito in medicina Sindrome di Calboni: induce il soggetto a sparare balle così mostruose che a quota milleseicento viene poi colto da allucinazioni competitive con gli altri colleghi di governo.


  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

La Putin Doll

La Putin Doll è una linea di bambole tutte simili, interscambiabili negli abiti e nei ruoli, commercializzata da Mattel Corporation  e ideata sul modello di una partigiana filorussa. Con accessori vendibili separatamente, è – secondo le contingenze – interscambiale con tratti identitari della politica filopalestinese, filoiraniana, filosiriana. Per venire incontro alla clientela più esigente, non ha…

Rutti

Abituati come siamo a esaltare l’autoreferenza di frettolosi interpreti digitali, abbiamo a tal punto smarrito la misura dell’arte da licenziare come stolto egocentrico uno dei più abili e corrosivi autori presenti sulla scena italiana. Autore di composizioni sopraffine e di scazzi memorabili, ha da solo nobilitato l’ultimo concerto del Primo maggio lanciando strali contro la…

Sabato antifascista

All’apparenza sembrava un sabato qualunque, di quelli che già profumano di domenica, di sveglie ritardate, di pigrizia pomeridiana. Ma non per tutti. Per Benito era il primo sabato antifascista. Così, dopo essersi lui medesimo dichiarato antifascista, Benito, alleggerito dalle funzioni corporali, si recò in cucina, accese i fornelli e avviò la preparazione del caffè dosato…

Scacco matto

C’è una nota romantica nell’umiliazione di Matteo Salvini in terra di Polonia; nella mortificazione dell’uomo, flagellato nel corpo e nello spirito.

Il volto opaco, livido, scivola nel corpo esanime e si consuma nella deposizione della carne. La violenza scenica della vergogna sgorga in un’immagine di intensa drammaticità, rivelando particolari anatomici cullati nel compiaciuto tradimento del sindaco.

Mentre prefiche rumoreggianti lo ungono con i balsami della sepoltura, un’essenza amara coglie lo spettatore nel notarlo trafitto, vinto da quella mossa non calcolata.

Nella dissoluzione che avanza, ridenti scorrono le tracce della gloria: il Ministero dell’Interno, il patriottismo, la folla osannante, il mito incompiuto.

Oggi Matteo Salvini compie 49 anni. Se soffia sulle candeline, minimo minimo, prende fuoco la casa.


  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Il demone

La beffa più grande che Simone Inzaghi abbia allestito dal suo approdo alla guida dell’Inter, parafrasando Keyser Söze ne I soliti sospetti, è stato convincere il mondo che lui non esistesse. Non esisteva quando, immersa nell’amnio del recente passato, la Juventus richiamava al capezzale Massimiliano Allegri. Non esisteva quando, per allineare i bilanci a più sostenibili…

La ruota

**** C’era una ruota molto carina Scendendo al porto, giù alla marinaNon si poteva salirci dentroQuando ostinato soffiava il vento Non si poteva vedere nienteIn quella zona non c’era gente Non si poteva fare pipìIl depuratore era già lì Ma era bella, bella davveroMeglio di quelle di Olbia e di AlgheroMa era bella, bella davveroE…

EST

Compulsando i diari dei viaggiatori, nella programmazione della nuova meta, mi è rimasto impresso il commento di una ragazza che, in termini esperienziali, affermava che la Romania non le aveva lasciato nulla. Un commento netto, algido, prossimo all’indifferenza. Sarà la mia passione per i paesi dell’est Europa, la ferita portata a quelle terre dalla spietatezza…

Mojto e rosario

Non sarà l’anno bellissimo improvvidamente vaticinato dal presidente Conte, di sicuro lo è, in attesa del campionato di calcio, questo mese di agosto. Nell’indecenza di un governo macchiettistico, sovrastimato anche nei pericoli, con l’esecutivo decade uno dei pochi talenti trasversalmente riconosciuti a Matteo Salvini: l’acume strategico. Trattati di tecnica militare ridiscussi in ossequio al segretario supremo, sono stati frettolosamente sotterrati dai catechisti del leghismo, eccitati da un piano trionfale che, seducendo prima e abbandonando poi l’ingenuo alleato, ha cannibalizzato il movimento cinquestelle, lucrando sulla funzione ministeriale e sdoganando linguaggi e comportamenti primordiali.

Un uomo elevato alla dignità istituzionale dopo ventisei anni di parassitismo statale, dei quali più che gli atti politici si ricorderanno il folklore, gli indumenti, le assenze. Del leghismo padano, abdicato in nome di un dubbio sentimento nazionale, ha tuttavia mantenuto la grettezza, la finta solidarietà popolare, diffondendo paure ancestrali che un sinistro apparato propagandistico ha curato cercando di affrancare il ministro dalle frequentazioni criminali, dagli intrighi internazionali, dai bancarottieri, dai 49 milioni.

Quindici mesi di cinica mistificazione e di dopata muscolarità su fenomeni che non è stato in grado di governare; intanto si consumava uno scenario di fallimenti economici, di incidenti diplomatici, di tasse, di condoni, di promesse disattese. Ma se le misure economiche sono opinabili perché esposte a una serie di variabili, altrettanto non può dirsi delle dibattute politiche migratorie e del contingentamento dei fenomeni criminali, strumentalizzati disertando i consessi internazionali e le commissioni parlamentari.

In questa cornice si curva la parabola dell’uomo forte, quello che occupandosi di mare, ruspe e pistole chiese pieni poteri e si ritrovò senza cornice e senza poteri. Un’ascesa sacralizzata in una consolle di Milano Marittina, tra aspersioni alcoliche, tette e rosari sbavati. Un meccanismo fino a quel momento perfetto, prima di incepparsi nelle contestazioni di Peschici, Policoro, Soverato, Catania, Recco, La spezia, Vittoria, Siracusa, Castelvolturno.

L’epica del capitano si è allora infranta contro il muro della superbia e di un altro Matteo, un tempo vittima dello stesso vizio capitale. Per ora è Matteo Renzi il vincitore di questa delicato passaggio politico, forse cruciale. Nell’apparente indolenza ha giocato le sue carte e rovesciato il tavolo, mettendo a nudo le debolezze e le ambizioni dell’avversario. A Matteo Renzi si deve la detronizzazione di Salvini, a Matteo Renzi il movimento cinquestelle deve la risalita dall’abisso in cui l’aveva spinto Di Maio.

Diceva Winston Churchill: «Date un briciolo di potere a un idiota e avete creato un tiranno.»


Senza filtro

Il ministro dell’interno Salvini, in campagna elettorale a Ivrea, sta passeggiando per le vie della città  insieme al suo assistente, quando si odono le urla di uomo: è il tabaccaio Franco che dichiara di essere stato aggredito da tre ladri moldavi.

Il ministro interroga l’uomo e apprende che nottetempo tre ladri si sono introdotti nella sua tabaccheria e  che, a seguito di una colluttazione, egli abbia impugnato la pistola e sparato per metterli in fuga. Ma il ministro, indagando le persone raccolte nei pressi del delitto, scopre che i tre malviventi, in realtà, erano tre funzionari leghisti che, insinuatisi nell’attività del tabaccaio, avevano appena sottratto un bottino di quarantanove marche da bollo.

A questo punto l’atteggiamento del ministro cambia; sospettando che il tabaccaio abbia esagerato nel riferire l’episodio, gli chiede  ancora una volta di spiegare l’accaduto.

Dal raffronto delle testimonianze emerge che il  tabaccaio non avrebbe subito alcuna aggressione e che  il colpo sarebbe stato sparato dal balcone soprastante,  mentre i ladri erano in fuga. La situazione precipita quando un uomo con la stella delle alpi ricamata sul panciotto afferma, come se il fatto avesse una rilevanza, che da giorni il tabaccaio esponeva in vetrina la scritta ama il prossimo tuo. E’ allora che il ministro accusa il tabaccaio di essere un  bugiardo.

La verità sembra ristabilita, ma interviene sulla scena un nuovo testimone: l’inquilino del palazzo prospiciente. L’uomo, titolare di un’impresa di pulizie, e segretario  della locale sezione della Lega Nord,  dichiara con fermezza che i ladri non potevano essere leghisti  e che al moldavo ucciso si accompagnavano due negri dediti allo spaccio  nel quartiere. Nuovamente l’atteggiamento del ministro nei confronti del tabaccaio vacilla: lo compatisce per la sventura occorsa e gli garantisce che a breve  approverà una legge sulla legittima difesa a tutela di chi, come lui,  agisce in stato di grave turbamento per il pericolo in atto.

Ma non sembra dello stesso avviso la signora Maria Immacolata, moglie dell’inquilino leghista, che riflettendo ad alta voce getta nel panico il ministro affermando di non essere così certa che i due complici del moldavo fossero negri.

Il ministro schernito dalla folla prosegue allora il suo cammino per la piazza del comizio.

 

 


Libero adattamento de Il Camaleonte Anton Čechov, 1884.

 

 

 

Ultimo fango

Fango sulla Lega, a ritmo di tango, il tango di Armando, che ha su l’elmetto, ha detto cazzetto, stasera in consiglio, col capitano, quel mezzo coniglio, che mitra in mano, e mezze parole, detassa benzina a chi ignora le scuole, che stralcia il decreto e loda il prefetto, apprezza il bicchiere e il bancarottiere.

Vi stralcio il decreto, fanculo romani, Virginia che strazio, rovina del Lazio. Ma senti chi parla, il bancarottiere, l’Armando del tango, che fermo all’ingresso, non s’è ancora dimesso.

Abbiamo un contratto, un reddito a ore, abbiamo un appalto, un gran spartitore: a me 780, o milioni quaranta, come i ladroni, quelli di Alì, venuto in barcone con altri Diciotti, e fan diciannove. Ci stanno invadendo, chiudiamo ‘sti porti, chiudiamo anche i ponti, non quelli crollati, Madonna che botto, al funerale facciamo la foto.

Cambia divisa e non dà protezione, è solo un attore quel gran fannullone, della nazione si crede al comando, e al minimo sforzo si piega cagando.

Per non raccontare di quello statista, dello stagista, la povertà diceva abolita. Che perse la Francia, esportando l’arancia, volata in Cina, con quella manina, quella del MEF che un tempo insidiò la mutanda del DEF.

Un capolavoro, un cazzo di cane, cancello le accise in due settimane, in tre settimane, in trenta giorni, sessanta giorni, un anno appena. Non vuoi ricordare, sei proprio un ingrato, figlio scommetto di un immigrato. Ricorda la TAP, la fine del TAV, oppure la TAX, benché poco FLAT, perché progressiva, un po’ come l’Ilva l’è andà a dà via i ciap, così anche IVA, attaccat ‘o cazz, a forma di tram, non quello dell’AMA, che arde nel rogo dell’urbe e dell’orbo, che l’ha imbruttita, ma è sempre bella, ci giurerei, non ci vivrei, ma è meglio lei, che bella sei, che bella lei, vale per sei, ci giurerei, sei meglio tu, che bella sei.

Liberateci!

Sweet Home Verona

A Verona non ci saranno i Lynyrd Skynyrd, e neanche il Neil Young di Alabama e Southern Man, più probabile la presenza di Giuseppe Povia e del ministro Fontana, alfieri di un antistoricismo esasperato che sembra precipitare la città nell’Alabama degli anni cinquanta.

Scrutati dalle verande scaligere di Montecchi e Capuleti, i sacerdoti della nuova sacralità familiare, della rinnovata severità morale, si apprestano a ristrutturare l’architettura della società coniugando all’oltranzismo omofobo il paradigma della donna serva, custode di prole da allevare, di culi da pulire, di mariti da compiacere e a cui imputare, in caso contrario, la responsabilità del declino demografico.

Un antistoricismo concepito nei recessi del celodurismo bossiano e germogliato nel diottrico onanismo salviniano, al quale si contesta, oltre alla discriminante politica migratoria, l’insano proposito di nobilitare con dignità scientifica dubbie convinzioni etiche e religiose.

Di questo si dibatterà a Verona. Di proibizione della propaganda omosessuale, di restrizione dei diritti civili alle famiglie non convenzionali, di divieto di commercializzare i contraccettivi farmaceutici, di equiparazione tra aborto e omicidio, di abrogazione della legge sul divorzio, di divieto delle diagnosi prenatali, di legislazione contro la sodomia.

Un delirio nel quale, in attesa delle sante crociate contro gli eretici e della caccia alle streghe, l’unica parvenza di normalità filtra dalle veglie, dalle preghiere, dai digiuni volti a proteggere il congresso dalle tenebre del male.

Gente che si ammazza di seghe.

D2GbccAXgAA6YLr

Risvegli

Timidi segnali di risveglio. Talmente timidi da insinuare che la compostezza delle opposizioni riveli una strategia più sottile, volutamente attendista, germinata nella consapevolezza che nessun argomento può turbare la luna di miele tra i governanti e il popolo. Entrambi intesi nel senso più deteriore del termine.

Solo l’innamoramento può giustificare questo desolato vagare nelle lande della mistificazione, tanto più se anche la tragedia, il lutto, meschinamente incespicano nelle maglie del consenso.

Genova è solo l’ultimo palpito di questo ardore, l’ultimo pilone di un’imponente architettura.

Un’architettura denigratoria franata su un partito, il PD, sulle cui macerie è collassato, impetuoso, il sospetto di collusioni con i maggiorenti del gruppo Benetton, azionista di riferimento di Autostrade Per L’Italia. Un linciaggio a regola d’arte, nella cui fonte il governo confidava di abbeverarsi a lungo,  salvo scoprire che a percepire i finanziamenti dalla famiglia Benetton era la Lega di Matteo Salvini.

Matteo Salvini, il ministro virile, al quale gli atti della camera rammentano, come al marinaio di Coleridge,  il peccato del voto favorevole espresso nel 2008 (e nelle due successive sanatorie) al cosiddetto  decreto salva-Benetton, che svincolava i ricavi (della concessionaria) dall’obbligo di manutenzione voluto dal governo Prodi.

Il PD,  al quale si imputa – fra le altre cose – anche l’estinzione del leopardo dell’Amur e dell’elefante di Sumatra,  espresse voto contrario.

Il fatto dovrebbe generare, se non imbarazzo, almeno una manifestazione di sgomento, un sussulto nell’elettorato,  ma la fidelizzazione genera cecità. Come cieche sono le ragioni addotte a sua discolpa dal segretario leghista, quando afferma: «Invidio quanti si ricordano cos’hanno fatto dieci anni fa».

Una difesa tanto puerile che anche l’avvocato del popolo, a sua volta legale di AISCAT, papale papale, da omo a omo, nel segreto del palazzo gli avrà detto:«Matte’, ma che cazzo hai combinato? Qui te se ‘nculano, eh!».