Italians do it better

Domenica pomeriggio, mentre orde di tifosi festanti affollavano le strade londinesi all’assalto del nulla, un perplesso commentatore italiano ha scritto: La differenza più grande tra il tifo inglese e quello italiano è la scaramanzia: in Inghilterra è tutto un “vai che vinciamo” e “it’s coming home“. Se uno andasse in un bar italiano a dire “vai che vinciamo“, con una mano si toccano e con l’altra lo menano.

I sudditi di Sua Maestà la regina invece, dall’alto della superiorità loro calata da ‘stocazzo, hanno preferito esagerare trasformando l’attesa in uno sciagurato carosello di cori, bevute, fumogeni; uno dei quali profeticamente infilato nel culo.

Hanno sbagliato tutto quel che si poteva sbagliare, non solo sul campo. Hanno fischiato l’inno italiano, hanno rifiutato la medaglia del secondo posto, hanno abbandonato lo stadio prima della premiazione, hanno insultato con epiteti razzisti, confermando la solidarietà cosmetica del Black Live Matter, i tre giocatori di pelle nera che hanno sbagliato il calcio di rigore. Lo stesso Principe William, abiurando la buona educazione ancor prima che i protocolli istituzionali, non si è congratulato con il Presidente della Repubblica.

Inglorioso finale per chi, in una partita tutto sommato modesta, dopo il vantaggio iniziale, aveva coltivato l’illusione della vittoria. Dettaglio che tuttavia non deprime il romanticismo del trionfo, tanto più per una nazione, l’Italia, che non partiva con i favori del pronostico.

Romanticismo che a fine partita si trasfigura nel commosso abbraccio tra Roberto Mancini e Gianluca Vialli, nella fierezza di Giorgio Chiellini, nel pianto nervoso di Bernardeschi, nell’esuberanza di Florenzi, nella telefonata di Chiesa alla mamma, nella malasorte di Spinazzola, portato in trionfo con le stampelle da De Rossi.

Una vertigine di emozioni, di gesti normali che restituiscono quei ragazzi alla loro età, sciogliendo il coagulo retorico e di invidia sociale che ne colpevolizza la fortuna.

L’ultimo scatto è per l’eroe della partita, Gianluigi Donnarumma, il portiere, che dopo aver parato il rigore decisivo, come se niente fosse, s’incammina fuori dall’area, ignaro di essere appena diventato campione d’Europa.

Uligano, don’t say cat if the cat not is in the sac!


Gli italiani perdono le guerre come fossero partite di calcio, e perdono le partite di calcio come fossero guerre. [Winston Churchill]


Classificazione: 1 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

La Putin Doll

La Putin Doll è una linea di bambole tutte simili, interscambiabili negli abiti e nei ruoli, commercializzata da Mattel Corporation  e ideata sul modello di una partigiana filorussa. Con accessori vendibili separatamente, è – secondo le contingenze – interscambiale con tratti identitari della politica filopalestinese, filoiraniana, filosiriana. Per venire incontro alla clientela più esigente, non ha…

Rutti

Abituati come siamo a esaltare l’autoreferenza di frettolosi interpreti digitali, abbiamo a tal punto smarrito la misura dell’arte da licenziare come stolto egocentrico uno dei più abili e corrosivi autori presenti sulla scena italiana. Autore di composizioni sopraffine e di scazzi memorabili, ha da solo nobilitato l’ultimo concerto del Primo maggio lanciando strali contro la…

Sabato antifascista

All’apparenza sembrava un sabato qualunque, di quelli che già profumano di domenica, di sveglie ritardate, di pigrizia pomeridiana. Ma non per tutti. Per Benito era il primo sabato antifascista. Così, dopo essersi lui medesimo dichiarato antifascista, Benito, alleggerito dalle funzioni corporali, si recò in cucina, accese i fornelli e avviò la preparazione del caffè dosato…

Un giorno

Un giorno parleremo della fortuna di Giuseppe Conte.

Di quella volta che, imbarazzato, fece la prima comparsa televisiva.
Di quella volta che salì al Quirinale.
Di quella volta che il Presidente della Repubblica gli conferì il mandato di formare il governo.
Di quella volta che condivise la stanza con i governanti del mondo.
Di quella volta che salì al Quirinale a giurare davanti al Presidente della Repubblica.
Di quella volta che si scoperse antieuropeista.
Di quella volta che firmò una manovra contro l’Europa e la Commissione Europea.
Di quella volta che firmò un decreto infame.
Di quella volta che esortò Angela Merkel a non badare al suo Ministro dell’Interno.
Di quella volta che ci fece litigare con la Francia.
Di quella volta che il Ministro dell’Interno gli annunciò la sfiducia dal bar della spiaggia.
Di quella volta che poggiò la mano sulla spalla del Ministro dell’Interno.
Di quella volta che risalì al Quirinale.
Di quella volta che il Presidente della Repubblica gli conferì il mandato di formare un altro governo.
Di quella volta che risalì al Quirinale a giurare davanti al Presidente della Repubblica.
Di quella volta che si scoperse europeista.
Di quella volta che sottoscrisse un’alleanza con Germania e Francia.
Di quella volta che ci fece di litigare con l’Olanda.
Di quella volta che fece prevalere la linea dell’Italia al consiglio europeo.
Di quella volta che si presentò al bar con duecentonove miliardi e disse: «Ragazzi, oggi pago io!»
Di quella volta che ingannò Giuseppe Conte I vestendosi da Giuseppe Conte II.

Un giorno parleremo della fortuna di Giuseppe Conte.

Possibili scemari

E’ andata com’era previsto che andasse, con  l’affermazione della Lega, l’arretramento del movimento cinquestelle, cannibalizzato da Matteo Salvini,  il mancato sfondamento dei partiti populisti.

Ma facciamo un passo indietro. Stadio Giuseppe Meazza di San Siro, ore 22:18, minuto 81: percussione di Vecino,  la palla respinta dal palo cade sul piede di  Nainggolan, che di prima intenzione calcia e spinge la palla in rete. L’Inter è in Champion’s League.

ore 23.00. Segretari e presidenti hanno ormai  riposto scatoloni e matite; in un’atmosfera estenuata ha inizio uno scrutinio che non darà ai sovranisti la maggioranza auspicata, né scardinerà gli equilibri tradizionali, anche se in Italia,  nonostante le dichiarazioni prudenziali e le rassicurazioni  del ministro dell’interno, ridefinirà i millesimi condominiali.

Se la cronaca di questi giorni fosse un romanzo, il narratore lo ambienterebbe nella centrale via Italia, dove il condomino del terzo piano, moroso di 49 mensilità, seduce  la giovane ereditiera del primo, si fa ospitare, la frequenta e, dopo averle sottratto ogni avere, prima la ricatta, poi l’abbandona.

I profili di politica interna non devono tuttavia distrarre dal dettaglio che si votava per le europee, ed essendo la politica un fenomeno liquido, più complesso della retorica salviniana, si spiega il reciproco entusiasmo di soggetti appartenenti a schieramenti contrapposti.  La vittoria nazionale di Salvini, per farla breve,  è una sconfitta in Europa, e la scelta deliberata di allontanare l’Italia dalla sua collocazione naturale, coinvolgendola  in una gang bang sovranista con Polonia, Francia lepenista e Regno Unito,   condannerà il nostro paese alla marginalità.

Quali scenari allora? Tenendo conto del disincanto dell’elettorato pentastellato, e del mutato orientamento generale, le prospettive sono due:

La Lega, forte della sua affermazione,  ai limiti della circonvenzione d’incapace, potrebbe chiedere un riequilibrio nella composizione del governo o  minacciare la crisi istituzionale agli alleati. 

Il movimento cinquestelle, dal canto suo , potrebbe cercare fortuna altrove, confidando  nei numeri parlamentari e nell’autolesionismo del  Partito Democratico, cresciuto nel dato statistico, ma non nelle preferenze. Una prospettiva, questa, che  avrebbe il vantaggio di sterilizzare la propaganda di Salvini,  revocandogli il giocatolo ministeriale,  ma,  nel contempo, condannando il PD all’estinzione.

Insomma, siccome tutti hanno qualcosa da perdere,  è ragionevole pensare che non accadrà nulla, l’avanspettacolo governativo andrà avanti. Perché Salvini dovrebbe rinunciare a un alleato tanto ingenuo e malleabile? Perché il movimento dovrebbe gettarsi tra le membra del suo antagonista naturale? Perché il Partito Democratico dovrebbe cedere alle lusinghe di una banda di sprovveduti?

Chiusa la pantomima elettorale,  con i suoi calcoli e le sue analisi, l’ordine delle cose si ricomporrà, e con illuminata devozione i fedeli  respingeranno lo spread a colpi di rosario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La giovane Bratislava

Se Bologna è la vecchia signora dai fianchi un po’ molli cantata da Francesco Guccini, Bratislava è una fanciulla smaliziata,  avvolta da fragranze speziate, calze velate e  tacchi che affiorano dal bordo di un cappotto fuorimoda da almeno vent’anni.

Della ricca signora che fu contadina non rimangono che i plumbei ricordi di nonni e genitori cresciuti nell’autoritarismo comunista, ora risorti nelle tinte pastello e nelle caratteristiche statue bronzee, che della fiera capitale slovacca sono l’emblema. E dalla più attraente di queste opere, che si affaccia da un tombino di via Laurinska, sembra emergere la città nuova.

Bratislava non è solo lo scalo economico di turisti e viandanti destinati a Vienna e Budapest, e merita più di una visita fugace. Ha un centro storico elegante, dedalo di  percorsi e vicoli nei quali è un piacere perdersi, un castello, una cattedrale imponente, siti archeologici e architetture maestose come palazzo Grassalkovich, sede della presidenza della repubblica, o il Palazzo del primate, che  nella sala degli specchi, dopo la battaglia di Austerlitz,  ospitò il trattato di pace  tra  Napoleone Bonaparte e Francesco I d’Austria,  decretando la fine del sacro romano impero.

Dal punto di vista architettonico, tuttavia, con le torri che svettano alte dalla collina, a dominare la città è il castello, oggi sede del museo nazionale slovacco. Interamente ricostruito dopo il devastante incendio del 1811, fu la dimora del re di Ungheria e degli Asburgo. La ricostruzione [1953] ha comunque restituito stanze spoglie e poco sfarzose che nulla lasciano dello splendore del passato. Di sicuro è un apprezzabile punto panoramico e i romantici lo preferiranno alla torre dell’Ufo, controversa testimonianza del delirio ingegneristico comunista.

Di maggior pregio, per l’ingegneria sovietica, è il memoriale di Slavin, eretto in memoria dei settemila soldati dell’Armata Rossa caduti durante la Seconda guerra mondiale per liberare la città. La statua del soldato, collocata nella sommità del monumento, simboleggia la vittoria sul nazismo.

Scendendo dalla collina, con un principio di assideramento in corso, a mitigare l’abbassamento delle temperature  ha contribuito una donna di mezza età, la quale, poco prima che le porte del tram si aprissero, ha allietato i passeggeri e resuscitato il nostro orgoglio nazionale diffondendo dal telefono le patrie note de L’italiano di Toto Cotugno, che confermando lo stigma di eterno secondo, ha inaugurato una seconda giovinezza nelle ex repubbliche sovietiche.

In ogni caso, le tracce del belpaese non sono mancate:  tutte le mattine il Caffè Vespa, che abbiamo abitualmente frequentato,  sublimava le colazioni con un ripasso enciclopedico delle glorie discografiche italiane.

Chi si reca a Bratislava sappia tuttavia che i caffè e i locali in genere non mancano; luoghi in cui l’aria sa di fumo, birre appena spillate e rapporti informali.  Ne ho voluto visitare uno in particolare, nonostante le diffidenze della compagna Maria Antonietta, sedendomi al KGB Pub, urna cineraria del comunismo slovacco, nel quale, tra bandiere rosse, foto e icone dell’epoca sovietica,  abbiamo gustato una deliziosa birra nazionale. La spinta nostalgica non ha comunque corrotto l’anima della compagna Maria Antonietta, che declinando i protocolli dell’ufficio politico, non è voluta tornare al Pub, fatto che ho immantinente relazionato al partito. 

Lasciando il centro storico, il viaggiatore che  voglia abiurare i cerimoniali della mondanità o si inibisca per  il riserbo tradito da statue e sculture oltremodo indiscrete, potrà ristabilire il suo contatto con l’intimità e la natura inerpicandosi sulle pendici del castello di Devin, situato su un’ altura di 212 metri alla confluenza dei fiumi Danubio e Morava.

Un panorama incantevole, prosperato nel  passato ma già rivolto al  futuro.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sfora Ebbasta

Prima che si ripresentasse scuro in volto, con la cartelletta, l’immagine di Padre Pio nel portafoglio, la commissione europea lo aveva ribattezzato Sfora Ebbasta.

Memore delle balconate romane del vicepresidente Di Maio e delle riserve aurifere millantate da ‘er felpa, dei me ne frego dell’ Europa, dello spread che non si mangia a colazione, delle letterine di Babbo Natale, ora che le agguerrite milizie gialloverdi battono in ritirata, al presidente Trap Giuseppe Conte, non è rimasto che rinegoziare l’abbassamento del deficit dal dogmatico 2,4% al 2,04%, risultato che verosimilmente avrebbe ottenuto anche senza spendersi nello scialbo puerilismo di questi mesi. Un Deficit/Pil al 2,04%, significa lo 0,14% in più di quanto qualche mese fa avrebbe accontentato Europa e mercati.

Sotto l’alta guida di Paolo Savona, i fenomeni, erano convinti di poter negoziare alla pari con la commissione europea, financo di ricattarla, nella beata illusione che l’Italia fosse troppo grande per fallire. E invece? La tattica adottata ha solo riaffermato la conclamata debolezza italiana, che era tale anche nelle precedenti amministrazioni, tuttavia più accorte di quest’orda di segaioli, costretti a calare le braghe pur di evitare la procedura d’infrazione.

Hanno giocato tutto sulla terapia d’urto, sulla retorica muscolare, volevano sferrare il colpo ferale all’Europa e sono riusciti a ricompattarla, inimicandosi anche i paesi che ritenevano alleati.

Come il cupido di Sfera Ebbasta, hanno fatto gli stupidi, hanno bevuto troppo e si sono fatti riportare da lei, l’Europa, quella tipa chic che voleva un Trap boy come Giuseppe Conte.

Ciao, cialtroni ❤

 

Quelli che…


Quelli che…

Quelli che vanno in diretta streaming perché non pagano il canone RAI, oh yes!
Quelli che da cinque anni dipendono da Casaleggio convinti che l’Italia sia un’azienda, oh yes!
Quelli che #PrimaGliItaliani.
Quelli che accendono un cero alla Madonna perché hanno incontrato Grillo, oh yes!
Quelli che di mestiere ti spengono il cero, oh yes!
Quelli che Mussolini è dentro di noi, oh yes!
Quelli che votano a destra perché sono bravi a manganellare, oh yes!
Quelli che votano a destra perché il  Museo Egizio è troppo egizio, oh yes!
Quelli che votano scheda bianca per non sporcare, oh yes!
Quelli che il contratto con gli italiani, oh yes!

Quelli che uno vale uno, oh yes!
Quelli che vogliono la Flat Tax al 15%.
Quelli che la Flat Tax per le imprese esiste già, oh yes!
Quelli che esiste ma è al 24%, oh yes!
Quelli che la frode fiscale li ha resi incandidabili, oh yes!
Quelli che credono che Fabio Fazio sia Bruno Vespa da giovane, oh yes!
Quelli che la notte di Natale scappano con l’amante dopo aver revocato il bonifico al movimento, oh yes!
Inteso come intestino, oh yes!
Quelli che svalutiamo l’euro, vendiamo i nostri prodotti e gli altri ci guardano, oh yes!
Quelli, quelli che sono dentro nella merda fin qui, oh yes! Oh yes!

Quelli che col vaccino esavalente diventi autistico, oh yes!
Quelli che, quelli che non possono crederci neanche adesso che la terra è rotonda, oh yes!
Quelli che vogliono tornare in Forza Italia seguendo le scie chimiche, oh yes!
Quelli che cancelleremo la legge Fornero, oh yes!
Quelli che ti spiegano le tue idee senza fartele capire, oh yes!
Quelli che adesso no, ma domani mi autosospendo.
Quelli che il ponte sullo stretto, oh yes! Oh yes!
Quelli che il bonifico lo fanno solo a Siena da papà, oh yes!
Quelli che bloccano la strada a Porto Pozzo, oh yes!
Quelli che perdono la guerra… per un pelo, oh yes! Oh yes!

Quelli che ti vogliono portare a morire in svizzera, oh yes!
Quelli che gli altri li abbiamo già provati, oh yes!
Quelli che a sinistra hanno un sistema vincente per perdere le elezioni, oh yes!
Quelli che l’incarico a chi vince oppure non c’è più democrazia, oh yes!
Quelli che non ci sentiamo per un po’, oh yes!
Quelli che me lo dai il voto?, oh yes!
Quelli che puttana miseria, oh yes!
Quelli che citano Pasolini e il vangelo a cazzo, oh yes!
Quelli che dicono che i soldi non sono tutto nella vita, oh yes!
Quelli che dovremmo prenderci un pezzo de Libbia, oh yes!

Quelli che per principio non per i soldi, oh yes! Oh yes!
Quelli che l’ho letto su internet, oh yes!
Quelli che meno male che Silvio c’è, oh yes!
Quelli che l’Italia è il paese che amo perché hanno una famiglia da mantenere, oh yes!
Quelli che sono onesti fino a un certo punto, oh yes!
Quelli che non sono economisti, ma leggono l’Economist.
Quelli che salgono al colle con la lista dei ministri e sbagliano colle, oh yes!
Quelli che state tranquilli, non mi ritiro, oh yes!
Quelli che due ore di neve e si ferma tutto, oh yes!
Quelli che se non vince nessuno meglio tornare al voto, oh yes!

Quelli che al bar sanno tutto di filosofia teoretica, oh yes!
Quelli che il  miglior vaccino contro la varicella è prendersi la varicella.
Quelli che faccetta nera, in fondo, non era così nera.
Quelli che prima i sardi, ma domani sono in Abruzzo, oh yes!
Quelli che non trovano mai la scheda elettorale, oh yes!
Quelli che votano alle 22 per non disturbare, oh yes!
Quelli che se perdo non mi dimetto.
Quelli che l’agente provocatore mi ha provocato, oh yes!
Quelli che il 4 marzo.
Quelli lì…

Normale sarai tu

[Lettera aperta a un cervello chiuso]

Ma sai, dice l’uomo della strada, è contronatura che due persone dello stesso sesso si uniscano in matrimonio. Non è normale. Ti faccio un esempio, dice sempre l’uomo della strada: se due uomini fanno all’amore, per quanto impegno profondano, non hanno la possibilità di concepire. Ma se è per questo, ribatto, nemmeno io posso concepire le tue teorie oscurantiste; eppure non anelo la limitazione della tua libertà individuale. Lombrosianamente parlando, non voglio che la gente si faccia influenzare dalla forma fallica del tuo cranio, che – rimanga tra noi – qualche sospetto lo aveva  destato. Io voglio che tu sia libero di dare sostanza alla tua deriva antropologica. Al tuo essere diversamente anormale.

Che poi, dico io, cosa significa essere normale? Sarai normale tu che spendi un euro e cinquanta per acquistare mezzo litro d’acqua, quando percorrendo venti passi in più, e spendendo meno, di litri puoi acquistarne dodici! Oppure, sarai normale tu che esumi attenuanti per un parroco accusato di abusi sui minori! O sarai normale tu che ostentando un crocifisso dorato suggerisci la cauterizzazione di omosessuali e migranti, eccetto quando i due fenomeni si manifestano contemporaneamente! Perché, ammettilo, quelle cose un pochino ti intrigano. Sporcaccione!

Ma nell’attesa che il tuo ciclo evolutivo si completi, scienziato, volevo chiederti anche un’altra cosa: sapresti spiegarmi con dovizia, quindi bene bene, perché due uomini o due donne che si serrano  nella loro alcova, e decidono di appagare il proprio desiderio sessuale, dovrebbero rendere conto a te? Esattamente, che fastidio ti dà? Venissero a casa tua con il proposito di sodomizzarti, potrei anche capire; ma se lo fanno a casa loro, a te, uomo normale, cosa cambia? Dipenderà mica dalle dissertazioni escatologiche che sciorini agli amici del bar, asseverando che la diffusione dell’omossessualità porterà alla  graduale estinzione del genere umano? Che comunque non sarebbe un grande danno. Se poi il termine di paragone sei tu, signor evoluto di ‘sta cippa, mi auguro che il processo sia relativamente breve. Come il longobardo Pipino.

La reprimenda dei giudici di Strasburgo, che di recente ha imposto all’Italia il riconoscimento legale delle coppie dello stesso sesso, non solo offende la nostra dignità civile per il ritardo maturato,  ma respinge un diritto che l’italiano ha già acquisito nel suo patrimonio genetico. L’omossessualità non scandalizza più nessuno. Su questo tema, se non diamo impulso alla legislazione vigente, rischiamo di fare la fine del Necchi, il barista della saga Amici Miei, che nell’atto terzo,  ignorando il sopraggiunto corso del tempo, si riprende gli schiaffi che in gioventù aveva elargito alla stazione.

Alla sensibilità del tema, inestricabilmente, si lega la purulenta vicenda dei marò Girone e La Torre. Lo so, è come se vi vedessi. Vi state chiedendo: “cosa c’entrano adesso i marò?“.  Nulla! Assolutamente nulla. Non hanno attinenza con l’argomento. Boh! Lo dicevo io che non siete normali.

L’amarezza di Lisbona

Lisbona non ti colpisce subito: è subdola,  è lenta, ha i suoi tempi e sa importeli. Come una femmina maliarda, Lisbona ti avviluppa, ti accarezza la  pelle e da essa si lascia assorbire; così, dopo una giornata macchiata dal  sudore e dagli smarrimenti, non sarà una doccia a levartela di dosso.

Attraversando la città, non lascia indifferenti l’aura di malinconia che brilla negli occhi dei portoghesi. Sorrisi parsimoniosi e tratti somatici induriti dal tempo e dal lavoro, si fondono con un’atmosfera rilassata e dimessa, in cui anche lo spaccio viene esercitato con ingenua disinvoltura.Soprattutto nel bairro alto, locali angusti e decadenti si coniugano con gestioni familiari in cui tutti vendono un buon motivo per sedersi ai loro tavoli: il panorama più bello di Lisbona, il baccalà più buono di Lisbona, il dolce più famoso di Lisbona. Ma, attenzione, non è una dozzinale  faida tra attività concorrenti. E’ tutto vero! Ognuno ti cede un tratto esclusivo.

Se dovessero chiedermi quando ho capito di aver colto la bellezza di Lisbona, sceglierei un particolare attimo che, come un brivido, mi ha attraversato  durante l’ imbarco nel volo di rientro. Un lampo di amarezza, malinconico come certe cadenze del fado. Insomma, una bellezza in differita che ne ha esaltato virtù e contraddizioni. Solo una città contraddittoria, insudiciata dagli afrori di piscio e baccalà,  in cui il degrado convive armonicamente con la sontuosa architettura manuelina, può ammettere certe distorsioni.

Chiaramente le impressioni delle persone sono volubili, dipendono dagli occhi dell’osservatore; ma non si può imbrigliare il giudizio nel perimetro manicheo del bello o del brutto. Tantomeno puoi farlo in una città complessa come Lisbona,  che  al tempo stesso è vivace e malinconica, gentile e sgarbata, elegante – senza mai essere eccessiva – e decadente. Forme e contraddizioni ben rappresentate in un monumento, quello che maggiormente mi ha colpito: le rovine del convento do Carmo. E’ stato il più grande edificio gotico di Lisbona, uno dei tanti oltraggiati dal sisma che alle 9,40 di quel maledetto primo novembre del 1755 rase al suolo la città, precedendo di soli  quaranta minuti un altrettanto violento maremoto che travolse i sopravvissuti che, in cerca di rifugio, dalla parte alta della città si erano riversati nel quartiere della Baixa, in prossimità del fiume.

Nella tragedia, mi fa amaramente sorridere il pensiero che, dopo duecentocinquanove anni – sempre il primo  di novembre – davanti a quel sudario di disperazione c’ero io; curioso come certi navigatori portoghesi, scopritori di quel luogo che  – a torto o a ragione – chiamiamo mondo.

La malia lusitana si è decomposta a Bergamo, catapultandoci nel magico mondo degli stereotipi italiani; segnatamente, quelli dell’ anziana signora che con il fratello gestisce il piccolo albergo (si fa per dire) in cui abbiamo soggiornato. La signora, affetta dalla tipica ubbia del leghista medio, si lamentava di tutto: si lamentava dell’Italia che non va, nonostante il nord (eppure qui non siamo in Sicilia, né…), dove i nuovi scali  agevolati dal low cost e booking.com  hanno sì offerto una possibilità, ma non alle vecchie locande, schiacciate dalla prepotenza delle grandi catene alberghiere, che allo stesso prezzo (ma come fanno, me lo dica lei?!) offrono servizi più elevati. Tutta colpa dei politici, sono tutti uguali né! A proposito, lo sa che la mia amica abita davanti alla casa del sindaco. Lo conosce il sindaco?! E’ il marito della Cristina Parodi. Ma ci pensa? Che fortuna, eh! Quando la mia amica si affaccia in veranda, vede il suo giardino e vede anche loro.

La signora, alla guida di una vecchia punto fuori produzione, probabilmente utilizzata per trasportare la legna, era il nostro servizio navetta. Le sono bastati pochi minuti per raccontarci la sua vita, le sue speranze e, giunti in aeroporto, le sue raccomandazioni: occhio, qua rubano! In poche ore siamo passati da Vasco Da Gama alla sciùra di Ber-Gama.

Bentornati in Italia!