Vernice lava bile

Il mondo incantato nel quale Giorgia Meloni aveva promesso di catapultarci, sembra giorno dopo giorno sgretolarsi.

Le accise sul carburante, che molteplici fortune avevano assicurato alla sua parte politica, come un tarlo insidiano le certezze del patriota medio, ancora inebriato dalla gloria elettorale e per questo spoglio di un’ adeguata protezione critica.

Tracce di contaminazione biliare si manifestano risalendo le tappe del consenso e diffondendo nell’elettore l’amarezza tipica delle più insigni fregature. E per chi non solo non si accontentava del contenimento dei costi, ma pretendeva la progressiva abolizione delle accise, sarà impegnativo motivare l’abiurato beneficio introdotto dall’ostile predecessore.

Anche se illustri rappresentanti di questo esecutivo, farneticando iniziative più o meno grottesche, annunciano uno scudo contro le presunte condotte speculative, il meccanismo è comunque semplice: se si abolisce uno sconto di 30 centesimi su un prodotto, quel prodotto poi aumenta di 30 centesimi.

Lo dice la scienza.

Un solco nel quale torrenziali scorrono le contraddizioni di un Governo che oltre all’impennata dei carburante, alla risalita dell’inflazione, col crollo del potere d’acquisto di stipendi e pensioni, dovrà affrancarsi dalla noia migratoria, ulteriore nefanda opportunità elettorale. Significativi in questi termini gli ultimi dati, che rilevano sbarchi dieci volte superiori rispetto al 2022.

Ci vorrebbe insomma una Meloni nuova, riverniciata. Ma non con una vernice normale.

Una vernice lava bile.


Classificazione: 1 su 5.


  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

La Putin Doll

La Putin Doll è una linea di bambole tutte simili, interscambiabili negli abiti e nei ruoli, commercializzata da Mattel Corporation  e ideata sul modello di una partigiana filorussa. Con accessori vendibili separatamente, è – secondo le contingenze – interscambiale con tratti identitari della politica filopalestinese, filoiraniana, filosiriana. Per venire incontro alla clientela più esigente, non ha…

Rutti

Abituati come siamo a esaltare l’autoreferenza di frettolosi interpreti digitali, abbiamo a tal punto smarrito la misura dell’arte da licenziare come stolto egocentrico uno dei più abili e corrosivi autori presenti sulla scena italiana. Autore di composizioni sopraffine e di scazzi memorabili, ha da solo nobilitato l’ultimo concerto del Primo maggio lanciando strali contro la…

Sabato antifascista

All’apparenza sembrava un sabato qualunque, di quelli che già profumano di domenica, di sveglie ritardate, di pigrizia pomeridiana. Ma non per tutti. Per Benito era il primo sabato antifascista. Così, dopo essersi lui medesimo dichiarato antifascista, Benito, alleggerito dalle funzioni corporali, si recò in cucina, accese i fornelli e avviò la preparazione del caffè dosato…

La leggenda del leghista sul goceano

Salutato da una folla festante, ancor prima che dalle colonne de La Padania,  il neoeletto sindaco di Illorai, protagonista di una campagna elettorale improntata al confronto e al reciproco rispetto con se stesso, in quanto unico candidato, si appresta a inaugurare l’annunciata rivoluzione amministrativa.

Il primo cittadino, per niente imbarazzato dal primo vessillo leghista piantato in un comune sardo, impresa della quale gli storici e i cantori  celebreranno la grandezza e la lungimiranza, ha consolidato la linea della fermezza e dei respingimenti, arginando i flussi migratori provenienti dalla confinante Bolotana.  Impermeabile all’appello dei palestrati naufraghi bolotanesi,  da quattordici giorni in balia del mare a bordo della Ichnusa Watch, ha negato l’approdo all’ONG battente bandiera Dinamo Sassari, che aveva indicato in Illorai un porto sicuro. 

Prima che la questione si imponesse alle cronache regionali, gli effetti della delibera Cau erano stati anticipati con il discusso provvedimento di espulsione di rom  e nordafricani da tempo imperversanti nell’amena comunità del goceano, terrorizzata da frequenti violenze su donne, bambini e, nel caso più riprovevole, dal gesto di un migrante sorpreso nell’atto sodomizzare il tubo di scarico della Fiat Panda del parroco, documentata nel materiale fotografico divulgato nel profilo istituzionale della Guardia Zoofila.

Al grido di Prima gli Illoraesi, Tittino Cau, insistendo sulla necessità di dare impulso al paese, la cui popolazione negli ultimi dieci anni anni ha subito un’emorragia di oltre il 15%, pari a 49 milioni di abitanti, annuncia un nuovo corso amministrativo. Da questa necessità l’idea della candidatura di Illorai ai giochi olimpici 2026,  nata scherzosamente al tavolo del Bar Da Gavino durante i colloqui con i membri CIO, in visita nel centro del Goceano.

Un programma ambizioso e innovativo che garantirà la rinascita del comune. Diverse le soluzioni allo studio del primo cittadino: dall’abolizione delle accise sull’Ichnusa non filtrata alla Fat Tax, tesa a ridurre la consumazione di carni suine e dei livelli di colesterolo; dal rilancio della piantumazione del muschio alla creazione di una moneta sovrana mediante lo strumento parallelo dei minibottidi, emessi dalla Banca Centrale di Bottida, dalla quale prendono il nome.

IIlorai, di tutto di più.

 

 

 

Conspiracy Theory

A pochi giorni dalla  montatura complottista e dalla profanazione mediatica dei tre  corpi esanimi recuperati sulle rive libiche – prova, secondo la vulgata,  del piano ordito dalle associazioni sorosiane per influenzare l’opinione pubblica sul tema dei migranti -,  una nuova polemica inquina il dibattito nazionale.

L’immagine è quella del ministro Salvini che galleggia  in una piscina confiscata alla mafia in Toscana. Analizzando meticolosamente la foto, anche l’osservatore meno accorto potrà notare l’anomalia, disvelando l’ennesima farsa inscenata dalle ONG e dal palindromico finanziere ungherese. Immortalato nelle patrizie abluzioni senesi, direbbe Fusaro, non è il ministro dell’interno Salvini, ma un bambolotto fotografato in uno studio di posa. Matteo Salvini non è mai stato in quella piscina.

«Ma non vedete che è un bambolotto. Che schifo!  Le stanno provando in tutti i modi per impietosire gli italiani. Così i traghettatori delle piscine continuano  a guadagnare sulla pelle di questi. Vergognoso!», scrive un’indignata @Fragolina77, che cercando su google ha appreso il fenomeno delle bambole Reborn: bambole in vinile piuttosto  realistiche, lavorate artigianalmente per assomigliare il più possibile ai veri ministri .

Ma esaminiamo i dettagli che rafforzano il sospetto:

Braccio destro [1]. Il braccio è disteso in modo irregolare e la mano evidenzia una deformità articolare  che flette verso l’interno, sconfessando le misure antropometriche registrate nella banca dati leghista, presso la quale sono custoditi i dati del ministro e di altri quarantanovemilioni di esemplari.

L’orologio [2]. Dalla disamina particolareggiata della foto, utilizzando il kit R1  Nikon SB-R200 pilotato in modalità CLS (Creative Lighting System), gli analisti dell’ University of Palau Research Institute, guidati dal Prof. Milut,  hanno ricavato che le lancette  padane segnano le  22:49: tutto normale?! Alle 22:49 in Toscana c’è tutta quella luce? Di chi è quel braccio?

E il cielo [8]? Com’è possibile che sia scuro a sinistra  e chiaro a destra? Koincidenze?

Postura [3]. Salvini è evidentemente seduto, lo si intuisce dalla rilassatezza del corpo, montato ad arte nella piscina.

Figuranti [4,5,6,7]. Niente di strano? La staticità delle figure – fatto insolito in una fotografia – prova che i soggetti sono stati specularmente introdotti per generare un effetto centripeto – poco centro, molto peto –  a favore del protagonista.

Osservate l’innaturalezza della  figura numero [6]: pare che stia per spiccare il volo o che qualcuno l’abbia spinta.

E quando qualcuno viene spinto, sapete dove s’attacca?

 


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Di mercoledì/9: In mezz’ora

[una rubrica poco utile]

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In mezzora

In mezz’ora siamo passati dai 780 euro al mese del reddito di cittadinanza a trenta minuti di internet gratis al giorno per tutti. Mezz’ora. Come la durata dell’incontro tra Salvini e il vicepresidente libico Ahmed Maiteeqche, a conclusione del quale il ministro dell’interno ha assistito silente alla polverizzazione della sua retorica muscolare.

Tutto in mezz’ora. Quanto è durata la mozione per l’istituzione di via Almirante a Roma. La Raggi non è mai stata una simpatizzante missina, o almeno per non più di mezz’ora. Il tempo entro il quale il ministro dell’interno si è specializzato in immunologia.

Mezz’ora. Come la memoria del Presidente del Consiglio Conte, volato a Bruxelles per modificare l’accordo di Dublino, votato dalla Lega Nord, in mezz’ora, con una chiamata dall’estero.

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Carne da macello

Catechizzare Matteo Salvini, auspicando la sua indulgenza, è uno dei propositi  meno remunerativi che un essere umano possa mettere in pratica; non solo perché sulla retorica dell’invasione la lega ha edificato la sua credibilità politica, ma perché suffragata da una popolazione plaudente al decisionimo mediatico del nuovo ministro.

All’elettore comune l’idea dello scontro piace. Piace la lite con le autorità tunisine, si esalta per il guanto di sfida lanciato all’Europa, si dimena per lo scontro con Malta. La perfida Malta: un quarto del territorio di Roma, poco più degli abitanti di Bologna.

Inutile allora accanirsi con proclami livorosi o ardite comparazioni storiche; la comunicazione politica prospera sulle tragedie e sugli atti di forza. Il popolo è come il bambino che ascolta le favole: ama i buoni, ma si fa sedurre dai cattivi; quindi, se vuoi addomesticarlo puoi farlo solo dimostrando di essere più cattivo dei cattivi, educandolo dall’interno. Con la speranza che non arrivi uno più cattivo di te.

Il popolo è un tenerone. Quando il popolo vede il migrante in mare, si commuove, quasi si avvicina al televisore per tendere la mano al bambino che sta annegando; ma come sente Salvini parlare di invasione si trasforma e sai che fa?, il popolo prende il telecomando, cambia canale e dice: «Ha ragione Salvini!». Poi scende sotto casa, come tutti i giorni incontra il senegalese e gli dice: «Occhio che adesso arriva Salvini!». E ridono, ridono. Il popolo è volubile.

Ride fino a quando lo convincono che senza il migrante potrebbe vivere meglio, che il migrante gli ruba il lavoro, molesta le donne, vende la droga. Allora il popolo torna a casa, accende la televisione  e si convince che in effetti, seduto per terra, al sole, a vendere occhiali e asciugamani al posto del senegalese potrebbe esserci suo figlio disoccupato. Ma suo figlio non camminerebbe mai da un lato all’altro della città o della spiaggia, tutto il giorno, tutti i giorni. Allora il popolo sai che fa? Scende sotto casa, torna dal senegalese, lo guarda e gli dice: «Occhio che adesso arriva Salvini!». E ridono, ridono. Poi gli compra un accendino e torna dalla moglie che gli ha preparato la pasta olio, aglio e peperoncino. Il popolo va pazzo per la pasta olio, aglio e peperoncino.

Salvini non è putrido e non è neanche fascista. Ha solo completato una straordinaria operazione mediatica iniziata con la felpa e finita in cravatta.

Ieri sera tornando a casa, nel tragitto che separa il viminale dal suo appartamento, si è fermato dal kebabaro, lo ha guardato con l’occhio truce e gli ha detto: «Occhio che adesso arriva Salvini!».

E giù a ridere, a ridere.

 

 


Ci sono soltanto due uomini perfetti: uno è morto e l’altro non è mai nato.
[Proverbio cinese]

 

Salvate la Madonna

L’assioma secondo cui «Ogni minuto muore un imbecille, e ne nascono due», ci restituisce con matematica precisione al mondo reale; compendio  di livore,  sangue e merda.

La retorica della natività, stavolta,   è stata affossata non in presenza di un atto rivoluzionario, ma con l’esercizio di un naturale gesto di misericordia, normalità per un pontefice. Chi se non il papa dovrebbe ricordare la parola del vangelo? Chi se non il papa dovrebbe denunciare lo snaturamento della solennità cristiana?

L’indulgenza a pulsioni che aggrediscono il sentimento cristiano, la bontà che si spegne con l’ultima luminaria, spogliano contraddizioni talmente ovvie che anche denunciarle suona banale.

La sera del ventiquattro nessuno si danna alla ricerca di una scelta caritatevole;  i buoni propositi si esauriscono lungo perigli di bancate luculliane, all’ombra di finti abeti sotto i quali scartiamo regali inutili.

Dire che Gesù è nei figli dei migranti non è il tratto di un disegno mondialista, è un’ invocazione. Il figlio di Dio, nella cui fede si specchiano i credenti, è nato profugo, indesiderato, rifiutato. Basta sfogliare un quotidiano qualsiasi per arguire che se i cristiani avessero vissuto la sua epoca,  quel nazareno lo avrebbero respinto. Se oggi  lo avessero fra loro, non lo riconoscerebbero.

Ma ci voleva il papa per ricordarvi che essere cristiani non significa disporre una statuina nel presepe o assistere alla messa di mezzanotte?

Il cristianesimo è appartenenza, solidarietà, accoglienza. Materie sulle quali si possono edificare maestose dignità, ma anche sontuose campagne elettorali. Ma ditelo sottovoce,  il nuovo manifesto papista è alle porte.

Neri per casa

Per nostra fortuna, parafrasando Ennio Flaiano, in Italia la situazione è grave, ma non seria.

Ne ho avuto sospetto qualche tempo fa quando,  indagando l’indigesta retorica che accomuna il richiedente asilo al criminale, mi chiedevo quanti chili di negri occorressero per fare un bianco; ne ho avuto conferma in questi giorni, con un episodio che brilla più per comicità che per pregiudizio razziale.

Per discrezione, e per non tradire il rigore deontologico dovuto alla mia  inusitata escursione nelle lande di Sardegnablogger, tacerò il luogo del misfatto e con esso ogni riferimento a un episodio di criminalità ordinaria accaduto a SANTA TERESA, dove un ladro si è introdotto all’interno di un’abitazione mentre gli occupanti dormivano.

Traendo spunto dall’arresto di un delinquente che da tempo imperversava in gallura, e stimolato dalle considerazioni del curatore di questo Blog – il Direttore Totale Dott. Ing. Gran Mascalzon. Di Gran Croc. Visconte Giorgioni -, a sua volta abile a raccogliere la delusione di chi – scontrandosi con la cronaca – ha dovuto prendere atto che il criminale non solo non apparteneva ad alcuna delle etnie sospettate dalla popolazione residente, ma era un italiano;  traendo spunto da quell’episodio, dicevo, ho ricamato la narrazione con  alcuni spunti di riflessione.

Ma perché, nella sua portata comica,  il caso di Santa Teresa è emblematico? Lo è perché illustra quanto il pregiudizio abbia sconfinato il perimetro della lucidità, negando finanche le più elementari informazioni antropologiche.  Infatti quando il miagolio del gatto ha svegliato il proprietario, questi, scorgendo l’intruso,   ha urlato e messo in fuga  il ladro, che ha poi rincorso urlandogli: «Negro di merda, se ti prendo ti faccio diventare bianco». Minaccia rivelatasi tanto persuasiva da aver alterato le connotazioni somatiche del criminale, che infatti era bianco; più del suo inseguitore.

Eppure gli indizi deponevano a favore di quell’estrazione etnica, da continente nero:  alto come un tappeto, non molto grosso e,  arrori du tiridi, attrezzato come un sardo, avrebbe detto la concupiscente Mariana del  marocchino di Benito Urgu.

Era un bianco, uno sporco bianco, uno di quei bianchi che se li prendi poi li fai neri. Uno di quei bianchi ai quali il negro o il rom fanno comodo perché gli garantiscono una franchigia morale, un balsamo per i rischi connaturati all’attività delinquenziale. Un po’ come quelli che scorreggiano e danno la colpa al cane.

Atteggiamento che tuttavia  degenera in pericolosità sociale quando a strumentalizzarlo è la politica per produrre consenso. Il luogo comune che assurge a precetto biblico inaridisce i sentimenti, crea distanza tra le persone e distribuisce i buoni  da una parte e  i cattivi dall’altra. Noi con Salvini, You soli.

Ma per fortuna, dicevamo, in Italia la situazione è grave, ma non seria.

 

[contributo pubblicato il 01-10-2017 su sardegnablogger: http://www.sardegnablogger.it/neri-casa-alessandro-muntoni/]


 

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Un chilo di negri

Quanti chili di negri occorrono per fare un bianco? Molti, evidentemente.

Se ci indigniamo per il negro che indossa un paio di scarpe o che utilizza un telefono cellulare,  e quasi non fa notizia il nigeriano ridotto in fin di vita da un civilissimo bianco, italiano,  la cui  ferocia si è protratta al punto di lesionarsi le mani, l’interrogativo è d’obbligo perché sintomo di una depravazione.

Depravazione che l’uomo bianco germina con il pregiudizio, con la sbrigativa immedesimazione del richiedente asilo con il terrorista, l’invasore, l’usurpatore; mitigando il sacrificio di chi, soggiacendo  a un’impietosa profilassi, si affida ai  mercanti di uomini.

La misericordia non è contemplata  per  il negro. E’ negro! Deve vivere da negro. Deve indossare stracci, pago a un pugno di crusca, a poche comodità. Niente telefono, niente autobus, e se possiede una bicicletta, statene certi, l’ha rubata. Poco importa se quel tale ha una laurea in medicina, parla tre lingue e il suo italiano è più fluente del nostro: è  un negro.

Sarà che il pensiero del razzismo è esso stesso il piacere, ma guai a chiamarli razzisti. Chiamateli contribuenti. Non è insolito che l’italiano per giustificare le sue aberrazioni si schermi dietro la contribuzione. Come se lo status di contribuente fosse un esimente morale o criminale. Un dettaglio tuttavia non trascurabile per i primatisti dell’evasione fiscale in europa.

I miei compaesani ricorderanno l’arrivo dei primi migranti a Porto Pozzo, ricorderanno la tirata retorica sull’invasione dei negri, i millantati borseggi a scapito di anziane signore, l’ombra degli stupri, le malattie. Non è successo nulla.

Ma se il tenore delle argomentazioni locali è questo, nel resto del mondo le cose non vanno meglio. E non solo per i muri. Circola da qualche tempo una linea di pensiero, un compendio dell’andrologia cranica internazionale, in cui, stimolando un ripensamento della Legge Basaglia, si teorizza che lo sbarco dei migranti sulle nostre coste sarebbe funzionale a un programma di sostituzione della razza europea con quella africana. Che stupidi! Come abbiamo fatto a non capirlo prima. La sostituzione della razza.

Con queste premesse, converrete che un’interlocuzione è difficile. Non rimane che l’ambulanza, gli infermieri, il trasporto in reparto.

E allora, amico che leggi questi contenuti, e magari li approvi, fai una scelta consapevole: adotta un razzista, aiutalo a relazionarsi, non esacerbare  il suo animo, edulcora la banalità del suo frasario, tingi la sua vita di colore.

Il razzista non è un diamante, non è detto che lo sia per sempre.


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Che roba contessa

[Dei migranti a Porto Pozzo]

Nel rispetto dell’italica tradizione, ancora una volta, i buoni propositi natalizi sono naufragati nelle tardive pozzanghere invernali.  Ammirando il presepe ci siamo fusi nel deliquio della natività elargendo urbi, orbi e sordi la nostra profonda beatitudine. Soprattutto sordi, perché l’impegno fu tanto sommesso da non essere inteso da orecchio alcuno. Forse.

Da tempo immemore Santa Teresa non assisteva a cotanta esuberanza allarmistica; probabilmente dall’istituzione della raccolta differenziata. Questo approccio, affatto biasimevole, ha così generato un condensato di luoghi comuni tanto acrimoniosi da riabilitare il più becero leghismo.

Il malumore oscilla, ma chiunque, imperituro, declina ogni addebito razzista. Non sia mai. E’ piuttosto disprezzo molecolare, genetico. Ma non è razzismo:  è scienza.

Fatto sta che a cicli irregolari il fenomeno si ripropone. Volgendo lo sguardo al passato – se ci pensate – una reazione analoga si è avuta quando in spiaggia sono arrivati i senegalesi con i quali siamo poi diventati amici (ebbè Ignazio, come va? È Ignazio : bene bene, sempre camminare); o i cittadini rumeni con i quali intratteniamo quotidiane relazioni lavorative e sociali; o – ancora –  i pazienti di Samarcanda, la cui sistemazione nella struttura convertita in assistenziale fu preceduta da reazioni oltremodo pregiudizievoli.

Adesso ci risiamo. O mio dio che paura, sono arrivati i migranti, sevizieranno le nostre donne, svaligeranno le nostre case,  mangeranno i nostri bambini e porteranno malattie. Il solo annuncio del trasferimento dal centro di Cargeghe ha sviluppato i primi focolai di febbra. Tosse, irritazioni cutanee, cattiveria i sintomi più frequenti. Fortuna che a Porto Pozzo c’è la farmacia. Non solo – hanno proseguito i manifestanti più accesi – li manderanno in albergo, gli daranno da bere, da mangiare, un telefono, la carta igienica e un biglietto della lotteria italia, che potranno indiscriminatamente utilizzare per pulirsi il culo. Ma dove andremo a finire?!, lamentano i cittadini denunciando una solidarietà solo cosmetica. Con questa scusa i rifugiati nigeriani si insinueranno nel nostro comune, alleveranno i loro figli, li istruiranno e questi – a loro volta – sottrarranno  il posto di lavoro a quel coglione di nostro figlio che si alza alle due, non fa un cazzo tutto il giorno, e quando apre bocca si esprime come Tarzan; mentre quelli a tre anni parlano con fluenza almeno tre lingue e in poche ore hanno già imparato le parolacce in dialetto.

Però, sia chiaro, non siamo razzisti. Lo ribadiscono con vigore: il razzismo è un’altra cosa. Il razzismo, ha detto il minchione che si alza alle due e non fa un cazzo tutto il giorno, è un’ideologia politica e sociale fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente superiori, destinate al comando, e di altre inferiori, destinate alla sottomissione, e intesa, con discriminazioni e persecuzioni contro di queste, e persino con il genocidio, a conservare la purezza e ad assicurare il predominio assoluto della pretesa razza superiore. Minchia! – gli ho detto – Roba buona, vero? Chi te l’ha data, l’immigrato?

Volendo fare i seri, ruolo rispetto al quale tradisco un palese imbarazzo, se un rilievo vogliamo proprio muoverlo, trovo singolare che un comune debba passivamente accettare una situazione di potenziale disordine senza essere neppure interpellato. Ferma la legittimità degli accordi tra società privata e prefettura, è opinabile che rispetto a un fenomeno che sta assumendo dimensioni planetarie, un primo cittadino apprenda dalla stampa quanto sta accadendo nel suo territorio.

Il resto si perde nelle macerie di luoghi comuni che tenaci sopravvivono ai tempi e al tempo. E rammentate: una sola cosa è peggiore della locuzione “non sono razzista ma… ” ovvero: “non sono razzista ma però…”

 


 

 

Un settembre al contrario

[quel che accadde a settembre, quarto mese del primo anno al contrario]

Era notte, sarà stato mezzogiorno, e ancora ricordo che sognavo di sognare, ma ero sveglio. Non mi era mai capitato di addormentarmi di soprassalto, piuttosto accadeva il contrario;  ma in quel settembre rovesciato, pronto ad accogliere l’estate, gli indizi raccolti da Tore l’investigatore provavano che,  dopo essermi svestito, avevo suonato la tromba delle scale e salendo ero sceso dabasso. Trascuro il principio fisico per effetto del quale salendo mi sono ritrovato al piano terra.

Il paese sembrava deserto, vuoto,  ma brulicava di cittadini ungheresi. Manifestavano perché i migranti, pur di non raggiungere la Germania, avevano eretto un muro di filo spinato che impediva loro – agli ungheresi – di abbandonare Budapest. Dicevano di sentirsi oppressi, insaccati. Che salami questi ungheresi.

Non potendo uscire, ricordo di aver disceso le scale per salire al secondo piano. Di essere entrato in bagno, di essermi insaponato, di non essermi lavato e, rientrando in salotto, di aver spento il televisore, incuriosito dalle notizie che stava trasmettendo. A parte la scena del bambino che adagiava sulla sabbia il corpo esanime di un poliziotto naufragato, ricordo l’immagine di quei torvi sindacalisti islamici, decisi a proclamare uno sciopero per arginare il degrado del patrimonio archeologico, adoperandosi per la ristrutturazione dei monumenti vilipesi dai moderati. Compreso il monastero di Mar Elian a Qaryatayn, vicino a Homs in Siria. Chissà quante volte ci sono passato davanti.

Eppure le loro facce barbute non mi erano nuove, le avevo già viste. Forse quel giorno al colosseo. In un’orda di visi ammaliati dall’imponenza dell’anfiteatro, ero stato inghiottito dal brusio di genti in deliquio. Straordinario! straordinario!, dicevano.  Non solo i turisti, ma anche i dipendenti della soprintendenza archeologica, che del colosseo avevano chiuso i cancelli. Così anche delle terme di Diocleziano, delle terme di Caracalla, delle terme di Tribuito. Queste ultime non erano proprio terme, erano piuttosto dei vasconi malsani voluti da Tribuìto, ottavo re di Roma, per convogliare  alcune categorie di insetti ritenuti portatori di infezioni. In realtà, Tribuìto – a cui va il merito di  aver risanato le finanze dell’urbe – non era un re canonicamente inteso, era un millantatore, ma dal brillante prestigio amministrativo. Gli studiosi dell’epoca, che post mortem ne apprezzarono l’opera,  coniarono per lui il titolo onorifico del non Re. Un non re comunque straordinario.

Lo straordinario non Re Tribuìto.

Roma è sempre stata così. Romantica e antica. Roma antica. Certo, è anche moderna, per carità, ma principalmente antica. Lo dicono le strade, le botteghe, gli artisti. Ma anche i riti funebri, fatti di colate di petali, di carrozze, di direttori d’orchestra, di bande. Soprattutto di bande. Roma sa attrarle tutte.

Gli invitati si davano convegno lungo il perimetro del feretro e conversavano amabilmente, ma erano tanto diffidenti gli uni nei confronti degli altri che, per non vegetare in laceranti delusioni, coltivavano l’amicizia unicamente con persone di cui non si fidavano. Una consuetudine radicata in tutte le realtà salottiere e nelle case più influenti. Anche a Casa Monica.

Ma in questo universo al contrario, tutto era diverso, anche i leghisti. Oddio, loro diversi lo sono sempre stati, ma stavolta lo erano di più. Parlavano di amore, di integrazione, di diritti civili. Disarcionate le pulsioni ideologiche del passato, le loro milizie avevano inaugurato un periodo illuminato e il triviale linguaggio da osteria era stato scomunicato da un’ eleganza oratoria degna della crusca. Il cereale.

Solo Tore l’investigatore era rimasto immune alla peste del contrario. Da principio i contrari, contrariati, lo osservavano con diffidenza, ma la diffidenza divenne sospetto e il sospetto degenerò in accusa.  Dàgli! dàgli! dàgli all’untore! dàgli a Tore, l’untore. Come in quel manzoniano 1630, quando la peste funestò Milano. Era il 1630?

-Miss Italia, ricordi l’anno della peste a Milano? Quella di cui si parla nei promessi sposi.
-Lei. Possibile che fosse il 1942?

L’incantesimo settembrino era irreversibile, nulla era più come prima. L’araldica efficienza tedesca tradita da espedienti truffaldini; i senegalesi molestati in spiaggia da alti dirigenti dell’ufficio marketing; il primo ministro inglese portato a giudizio da un suino con l’accusa di violenza sessuale.

Nulla era più come prima, neanche la rugiada intorno alla premiata forneria Marconi. Tutto al contrario, oirartnoc la ottut.

Per fortuna agosto era alle porte.