L’ucraina non esiste

La decisione russa di riconoscere unilateralmente il Donbass, firmata in diretta televisiva da Putin alla presenza dei rappresentanti separatisti, ha gettato nel panico l’intera Europa.

Riconoscendo con decreto le repubbliche indipendentiste di Donetsk e Luhansk, Putin, che ha tracciato un esplicativo parallelismo con la Basilicata, ha per un’ora argomentato che l’Ucraina non esiste. Un soffio che spazza le sementi dell’ Unione sovietica, a difesa della quale fieri resistono Marco Rizzo e il sindaco di Cavriago.

«L’Ucraina con il Donbass dentro» ha dichiarato Putin «è una creatura di Lenin. Adesso abbattono le statue di Lenin. La chiamano decomunistizzazione. La volete, la decomunistizzazione? Ora ve la faccio io. Ma non mi fermo a metà. Ora vi faccio quella vera. Io so’ decomunista così, sa’? So’ decomunista così!»

Il riverbero della crisi varca intanto i confini italici. Se da una parte Alessandro Di Battista, esperto di strategia prepuziale, ha negato l’invasione dell’Ucraina, schierandosi apertamente con il presidente russo; dall’altra, Luigi Di Maio minaccia Putin di passare a ENI Gas e Luce.

Classificazione: 5 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Parola di un ipocrita

Indagando la composita sfera di parenti, amici, conoscenti, è raro scorgere persone che abbiano mai fatto ammissione della propria ipocrisia. Il quesito sorge allora spontaneo: se l’ipocrisia è tanto diffusa e radicata, perché ostracizzarla? Perché non annoverarla tra le sane manifestazioni dell’animo umano? Ha davvero senso indignarsi, dissimulare, se nessuno può dirsi immune? Passaggio obbligatorio…

La Putin Doll

La Putin Doll è una linea di bambole tutte simili, interscambiabili negli abiti e nei ruoli, commercializzata da Mattel Corporation  e ideata sul modello di una partigiana filorussa. Con accessori vendibili separatamente, è – secondo le contingenze – interscambiale con tratti identitari della politica filopalestinese, filoiraniana, filosiriana. Per venire incontro alla clientela più esigente, non ha…

Rutti

Abituati come siamo a esaltare l’autoreferenza di frettolosi interpreti digitali, abbiamo a tal punto smarrito la misura dell’arte da licenziare come stolto egocentrico uno dei più abili e corrosivi autori presenti sulla scena italiana. Autore di composizioni sopraffine e di scazzi memorabili, ha da solo nobilitato l’ultimo concerto del Primo maggio lanciando strali contro la…

Classificazione: 1 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Cioccolato e Cremlino

E’ tempo di alzare bandiera bianca. Le ultime mosse da scacchista di Putin hanno improvvisamente rivelato le difficoltà dell’occidente e ridisegnato gli equilibri in seno all’Alleanza Atlantica. L’annunciata partenza di Pupo alla volta di Mosca, la scelta di andare in trincea, la promessa di un nuovo contributo al dialogo tra fratelli russi e fratelli ucraini,…

la lotta amata

Se il sonno della ragione genera mostri, cade in queste ore opportuno il caso di Donatella Di Cesare, filosofa e discussa editorialista della vivace agorà d’Italia. Espressione di una linea intellettuale riuscita nell’impresa di rendere ostile la sinistra anche a chi alla sinistra si sente idealmente affine, Donatella Di Cesare balza agli onori per il…

Non è un giorno da dimenticare

Sono le ore 00:59, un folto assiepamento di giornalisti e simpatizzanti accoglie Alessandra Todde, nuova presidente della regione Sardegna. Un banchetto frettolosamente allestito davanti alla sede raccoglie le sue prime dichiarazioni. Doveva essere un normale scrutinio elettorale, di quelli che a metà pomeriggio la gente s’incontra al bar e si prende per il culo imputandosi…

Dieci agosto

Libero adattamento al più nobile 10 agosto del poeta Giovanni Pascoli, nel cui cognome gli improvvisati governanti potranno cogliere un valido suggerimento professionale.


♠♠♠

Signor Conte, io lo so ha il cuore infranto
delle cinque più una stella non brilla
dal treno cadde, si ruppe l’impianto
che dal cavo falciato scintilla.

Ritornava un ministro in costume:
l’offesero: il suo nome è Salvini:
vomitava dalla bocca il pattume:
la cena de’ suoi grillini.

Ora è là, in consolle, che tende
il bicchiere a quel cielo lontano;
Mattarella è nell’ombra, che attende,
una chiamata del Vaticano.

Anche Di Maio tornava un po’ brillo:
l’offesero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi di Grillo:
a cui portava due picche in dono.

Ora là, nella casa romita
lo aspetta, lo aspetta il divano:
è immobile che ammira le dita
in silenzio gli parte la mano.

E tu, Sergio, dall’alto degli anni
ammiri infinito dal Quirinale,
contese ferali per uno scranno
nell’ opaco attimo elettorale.

 

 

® Immagine di copertina tratta dal profilo Spinoza colors

Arance e mostaccioli

Chissà che risate si sarà fatto Macron, reduce dall’accordo commerciale con Xi Jinping per la fornitura di trecento aerei airbus, sfogliando il memorandum con il quale gli italiani, con entusiasmo corrivo, vendevano cassette di arance alla Cina, che di arance è il terzo produttore mondiale.

Come l’egiziano che volesse esportare mostaccioli a Oristano o l’infante che volesse impartire lezioni di codda al babbo, il ministro Di Maio, risparmiato dal suo elettorato ma non dagli osservatori più accorti, ha dovuto constatare che non solo stava vendendo un prodotto con il quale i cinesi già avevano familiarità, ma che 2,5 miliardi di euro – a tanto ammonta il valore dell’accordo italiano con Pechino – fa meno di 30 miliardi, entità della commessa che rimpinguerà i forzieri transalpini e teutonici.

Insomma, mentre i nostri alleati naturali negoziavano piani infrastrutturali, telecomunicazioni, cooperazione e partenariato nei mercati dei paesi africani, noi brindavamo a un accordo – predisposto dal precedente governo – per l’esportazione dell’agrume siciliano. Per parificare l’entità della commessa cinese ad airbus, gli analisti stimano che l‘Italia dovrebbe esportare arance per tremila anni.

A destare inquietudine, in un rapporto diretto tra Italia e Cina,  è il potere contrattuale del  nostro paese; soprattutto la  penetrazione cinese nelle infrastrutture portuali italiane, di Trieste e Genova in particolare, e nel campo delle telecomunicazioni con l’introduzione del 5G, la connessione di nuova generazione nella quale circoleranno con le informazioni sensibili  le sfide tecnologiche e strategiche del futuro.

Più che sul prodotto il dibattito verte allora sul trasporto, tanto dei dati quanto delle arance, e poco importa se per via aerea o per via anale.

 

 

 

 

 

Di mercoledì/11: Il figlio di Cesare

[una rubrica poco utile]

senzanome

 

Il figlio di Cesare

Se la moglie di Cesare doveva apparire al di sopra di ogni sospetto, su di lui, Antonio,  Padre del ministro del lavoro e dello sviluppo economico, il sospetto è già stato superato dalla cronaca.

Raccolto nel focolare condonato, il signor Antonio, ancora medita su quel maledetto incidente. L’operaio non assicurato, la retribuzione in nero, le corse in ospedale, l’assunzione riparatoria, il licenziamento. Ora corre voce che i lavoratori irregolari fossero tre, l’ultimo dei quali si sarebbe dato a  gambe nei campi durante la visita dell’ispettorato del lavoro.

«Che figura di merda, papà! A me poi… il vicepresidente del consiglio, il ministro del lavoro», avrebbe sussurrato un Luigi Di Maio deluso.
«Luigi, cosa sono queste male parole? Sono tuo padre, non dimenticarlo!»

«Questo lo dice lei!»

 

 

 

 


Onde evitare interpretazioni  fuorvianti, la battuta finale non sottende la dubbia paternità del signor Di Maio, ma attinge dall’improvvida sortita del sottosegretario Castelli nel confronto televisivo con il ministro Padoan

 

 

Frankazista

Tre appassionanti mesi di governo del cambiamento, come li avrebbe raccontati Fabrizio De Andrè, che nel tema originale si  ispirò a un racconto sentito da uno dei suoi sequestratori.

 

Hanno detto che Matteo
è stanco di pagare
tutta notte a Pontida
attacca il Quirinale
quanto è piccolo il suo porto
è grande la montagna
come brilla il suo colore
in spiaggia d’estate, nel lido Romagna.

Tu ministro senza luna, senza terra e tanta fortuna
questa notte sognerai col tuo rimborso, stretto intorno al tuo rosario.

Tu ministro senza luna, senza terra e tanta fortuna
questa notte sognerai col tuo rimborso, stretto intorno al tuo rosario.

Hanno detto che Di Maio
è stanco di studiare
tutta l’acqua si è bevuto
prosciugando il mare
tutta notte sulla rete
fa ricerche  sui vaccini
guarda l’Ilva alla finestra
gli occhi  vuoti  dei tarantini.

Di  marinaio fa promesse, cambia orari e chiude portoni
senza congiuntivi da portare o una rata di pensioni.

Di  marinaio fa promesse, cambia orari e chiude portoni
senza congiuntivi da portare o una rata di pensioni.

Hanno detto che Giuseppe
è stanco di posare
sembra un Conte dimezzato
da un Calvino ilare
Figlio figlio e professore
che l’appello fai dal mare
c’è una concorso a La Sapienza
nessuno scritto, soltanto l’orale.

Tu docente senza luna, cinquestelle e tanta fortuna
questa notte sognerai i tuoi grillini, messi in forno da Salvini.

Tu docente senza luna, cinquestelle e tanta fortuna
questa notte sognerai i tuoi grillini, messi in forno da Salvini.

Hanno detto che Danilo
non sa più  progettare
ingegneri ponti e porti
lui sogna di bloccare
l’altro giorno un capo in lana
gli ha sorriso in autostrada
lo accusava del Morandi
quel che tesseva, non quel che cantava.

Riccia e folta la sua chioma, concentrato e lucidi occhioni
senza un dirigente da isolare o una prova di pressioni.

Riccia e folta la sua chioma, concentrato e lucidi occhioni
senza un dirigente da isolare o una prova di pressioni.

 


W L’Italia

Eravamo io, Diego Fusaro, Giampiero Ventura e George Clooney, a disquisire di politica e di massimi sistemi. Passeggiavamo lungo la banchina del porto di Santa Teresa quando Ventura, indicando l’imbarcazione ormeggiata di D’Alema, ha esclamato: «Lui si che sta bene. Baffetto!».

Era una giornata calda, umida, greve. La giornata qualunque di un’Italia demondializzata,  composta spettatrice della gloria franzosa e dell’imberbe esuberanza macroniana. Era L’Italia braccata dalla manina ministeriale di Di Maio e dalla serrata portuale del governo. L’estate dei naufraghi con le unghie pittate, sopravvissuti al mare ma non all’esacerbazione di creature fallocefale; l’estate dei quarantanovemilioni della Lega e della ridondante ascesa di Matteo Salvini, al quale la colonscopia di quel grande culo che chiamavamo Italia assegnava il primato elettorale.

Era l’estate dell’improvvisa scomparsa di Marchionne, al quale la sorte aveva prosciugato la possibilità di abbeverarsi nel sapere degli avvinazzati. Loro sì che sapevano come ristrutturare la FIAT. Ma era anche l’estate del ministro per il sud. Guai a parlarle di TAP. Sfidava chiunque a stendere l’asciugamano sul gasdotto. Lei il gas non ce l’aveva neanche a casa. Per cucinare chiamava un ragazzo, il garzone del ristorante indiano, che accendeva i fornelli scorreggiando venti speziati. Era l’estate di Cristiano Ronaldo alla Juventus.

L’estate di gente che non sapeva cosa accadesse a Palau, ma conosceva le opportunità e le dinamiche interne alla questione libica.  La libia era più vicina di quanto pensassero. Era Palau ad essersi allontanata.

Un’estate un po’ così, insomma. L’estate del governo Conte senza Conte, la cui involontaria comicità aveva alleggerito la delusione mondiale, presto derubricata a fenomeno statistico dopo il sorteggio dei calendari di Serie A. C’era attesa per l’esordio casalingo del Napoli, non tanto per le ragioni sportive, quanto per le indicazioni che potevano arrivare dalle tribune, dove gli spettatori scrutavano un  potenziale presidente del consiglio.

Ricordo che un giorno di quell’estate, una domenica, tornando a casa ho incontrato un leghista, di quelli che puntavano la pistola contro i campi rom. Gli ho detto: «Fratello, tornando a casa troverai i bambini, dai una carezza ai tuoi bambini e dì loro: questa è la carezza del Papa».

Ho atteso che si rilassasse, che chiudesse gli occhi. Mi sono spostato di 180 gradi, ho preso la mira e gli ho sparato un bel calcio nel culo.

Mica sono il Papa io.

Di mercoledì/9: In mezz’ora

[una rubrica poco utile]

senzanome

In mezzora

In mezz’ora siamo passati dai 780 euro al mese del reddito di cittadinanza a trenta minuti di internet gratis al giorno per tutti. Mezz’ora. Come la durata dell’incontro tra Salvini e il vicepresidente libico Ahmed Maiteeqche, a conclusione del quale il ministro dell’interno ha assistito silente alla polverizzazione della sua retorica muscolare.

Tutto in mezz’ora. Quanto è durata la mozione per l’istituzione di via Almirante a Roma. La Raggi non è mai stata una simpatizzante missina, o almeno per non più di mezz’ora. Il tempo entro il quale il ministro dell’interno si è specializzato in immunologia.

Mezz’ora. Come la memoria del Presidente del Consiglio Conte, volato a Bruxelles per modificare l’accordo di Dublino, votato dalla Lega Nord, in mezz’ora, con una chiamata dall’estero.

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W la Fibra.


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Un Conte in cerca d’autore

Sbarcato da un cargo battente bandiera liberiana, si  è palesato Giuseppe Conte, 57 applausi in 72 minuti.  Perfetta sintesi di un accordo impossibile, di un ibrido che Di Maio e Salvini chiamano contratto per la vergogna di definirsi alleati.

Impacciato come il liceale che entri per la prima volta in un cinema a luci rosse,  il confuso presidente del consiglio, autoproclamatosi avvocato del popolo – come certi ricoverati che rivendicano discendenze napoleoniche – ha fornito una prima testimonianza della sua mediocrità politica.

Nelle venticinque pagine di intervento, soprattutto al senato, nessun riferimento alla scuola. Nessun riferimento al mezzogiorno. Nessun riferimento alle infrastrutture. Nessun riferimento alla legge Fornero. Deboli riferimenti alla sanità, nessuno ai vaccini. Per parlare in compenso di fantomatiche reti info-telepatiche; di misurazione con i dilemmi dell’intelligenza artificiale e – riporto testualmente – di utilizzo dei big data per cogliere tutte le opportunità della sharing economy; di revoca delle sanzioni applicate alla Russia;  di convinta partecipazione alla NATO; di esclusione di un piano per l’uscita dall’euro, che qualche problema ha generato nell’affaire Savona.

Assorbito in un coagulo di intenti che per la loro vaghezza sarebbe delittuoso non condividere, il presidente Conte sarà ricordato per le enunciazioni generiche. Parlare di attivazione di politiche per rilancio del sud, come lui ha fatto, non è un programma, è l’affermazione di un principio. Parlare di efficienza e qualità dei servizi, non è un programma, è l’affermazione di un principio. Sventolare la necessità di redistribuire il fisco secondo equità, non è un programma, è l’affermazione di un principio.

Se il proposito era quello di raccogliere applausi , un discinto W la Fica,  sussurrato con eleganza e senza fronzoli accademici,  gli avrebbe assicurato meno fatica e altrettanta gloria.

La superficialità dei capitoli economici e sociali, che si scontra con il malvezzo di operare nel rispetto delle coperture,  sembra invece trovare concretezza – ma fino a un certo punto – nel paragrafo sulla sicurezza, improntata più dalla propaganda del ministro dell’interno che dalla proposta di Conte.  Ministro dell’Interno capace in appena due giorni di generare una crisi diplomatica con la Tunisia e di tacere sulla barbara fucilazione del migrante sindacalista di Gioa Tauro.

Prenderemo i migliori cervelli per fare i ministri, annunciava tempo fa Luigi Di Maio. Poi ministro lo è diventato lui.  Lui che da piccolo sognava fare il pasticciere trotzkista.

 

 

Dove c’è ignoranza io prospero, e dunque darò fiducia a questo governo per osservarne il declino. [Vittorio Sgarbi]

 

 

 

 

Di mercoledì/8: L’inchiostro simpatico

[una rubrica poco utile]

senzanome

 

L’inchiostro simpatico

Parafrasando Ennio Flaiano: «Sono giovani che hanno il coraggio delle idee altrui». E’ quanto emerso dall’articolo di Luciano Capone [Il Foglio], in cui si rivela come nottetempo il programma del Movimento Cinque Stelle sia stato sostituito in funzione delle rinnovate ambizioni pentastellate, ricusando livori e logiche cospirative.

Dal ripudio di ogni forma di colonialismo, neocolonialismo e ingerenza straniera alla riabilitazione dell’europa per le incombenti sfide internazionali; dal vagheggiato disimpegno delle missioni militari NATO all’esigenza di aprire un tavolo di confronto in seno all’alleanza atlantica; dall’accusa di prestare il fianco all’interventismo occidentale, compromettendo le relazioni diplomatiche con Damasco, alla critica dei sistemi di governo vigenti nei paesi arabi; dalla paventata insostenibilità della moneta unica europea, financo minacciando un referendum consultivo sul suo mantenimento,  alla negazione di volerne abbandonare il circuito.

Alla fine scopriremo che le stelle erano quattro.

 

a1 m5s

Matricola 142

E’ l’Alaska, la patria adottiva di Christopher McCandless, quella del vecchio scuolabus abbandonato nella neve, l’unica nazione al mondo che applica il reddito di cittadinanza.

Ne deriva che se avete creduto alla variopinta narrazione grillina e non appartenete ad alcuna delle etnie Athabaschi, Aleuti, Yup’ik, o non possedete un Igloo nelle algide terre nordamericane, sarà illusorio defilarsi dall’etnia Khaf.

Rispetto all’istituto vigente in Alaska, in cui il richiedente dev’essere cittadino da almeno un anno, il progetto assistenziale pentastellato, che in invero è un reddito minimo garantito di 780 euro netti al mese,  presenta tuttavia delle peculiarità.

Intanto è un sussidio. La dicitura reddito di cittadinanza, certamente più glamour della parola sussidio, è  un espediente semantico, una suggestione, familiare più  alle televendite di Wanna Marchi che alla  riforma dello stato sociale. Senza  la vecchina che balla.

Una suggestione della quale si dovrà rispondere a breve, perché scemato  il fervore elettorale, calata la mannaia della realtà, i contorni cambieranno. Stime al ribasso prevedono che il reddito  pentastellato, calcolato su un potenziale di nove milioni di persone, graverà sulle casse dello stato per almeno cento miliardi.

Le perplessità sul reperimento delle risorse non favoriscono l’analisi. Dal taglio generico degli sprechi alla riforma dei centri per l’impiego, la superficialità si coagula nella retorica dei privilegi parlamentari, che avrebbe un senso se non incidesse  più sulla morale che sull’economia. Per contro non si rivela l’impatto che le misure avranno sui  bilanci, quanto costeranno in termini di interessi sul debito e sui mutui, quanto accresceranno l’imposizione fiscale, l’Iva.

Insomma, ferme restando le perplessità sulle coperture finanziarie, evocando risorse che se non sono state trovate in tutti questi anni è legittimo pensare che non esistano, il funambolico progetto pentastellato statuisce che il richiedente abbia raggiunto la maggiore età, sia  disoccupato, non percepisca reddito da lavoro, non percepisca pensione non inferiore alla soglia di povertà.

E’ condizione per il mantenimento del sussidio che il richiedente si iscriva ai ristrutturati centri per l’impiego, che accetti uno dei primi tre lavori che gli saranno offerti; che  partecipi a progetti utili per la collettività per un massimo di otto ore alla settimana; che partecipi a non definiti corsi di formazione.

Non è chiaro da dove nasceranno i tre lavori proposti dai centri dell’impiego, ma nel vuoto primitivo, dove chiunque si arroga il diritto di elaborare e confutare teorie economiche, sociali, mediche, l’importante è vendere.

Arguendo lo scarso potere seduttivo di una campagna elettorale incentrata sulla riforma dei centri per l’impiego, tuttavia mi chiedo: anziché alimentare illusioni al limite della circonvenzione d’incapace, non sarebbe stato più onesto – tanto più per chi eleva l’onestà a suo credo – parlare meno di reddito di cittadinanza e più delle premesse alle quali è subordinato il modello sociale pentastellato?

Semplifico. Se per stimolare la campagna abbonamenti di una squadra in crisi economica e di risultati, il presidente – agendo sulle pulsioni emotive dei tifosi – da una parte promette l’acquisto di Cristiano Ronaldo [reddito di cittadinanza] e dall’altra, con tono meno enfatico, sussurra che l’acquisto sarà subordinato a una complessa ristrutturazione organica e finanziaria della società [riforma dei centri per l’impiego], e che in ogni caso questa ristrutturazione non avverrà prima di due o tre anni, secondo voi,  ai tifosi rimane in mente la mirabolante immagine di Cristiano Ronaldo o  le complesse variabili che di quel progetto costituiscono la premessa?

Su quest’ambiguità nasce la XVIII legislatura,  sospesa tra una nascita complicata e l’ombra di una morte prematura, con pochi viveri, un sacco a pelo e l’illusione beata dei cercatori di sogni.

 


 

 

Il popolo è un bambino
[Ascanio Celestini]

 

Il popolo è un bambino.
Se gli rubi le caramelle il bambino si arrabbia.
Ma se gliele metti in vetrina quello se le compra subito.
Allora tu che sei più furbo del popolo gliele fai pagare il doppio di quello che valgono.
Così per ogni caramella che si compra una gliela vendi e un’altra gliela rubi.
Se metti le mani in tasca al popolo sei un ladro,
ma se è il popolo che si viene a svuotare le tasche da te è solo una legge di mercato.
Il popolo è un bambino, gli piace comprare le caramelle.
Poi magari se le porta a casa e manco se le mangia.
Magari le butta al secchio, magari.
Perché ai bambini gli piace comprare comprare comprare.
Allora tu che sei più adulto del popolo gli vendi tutto.
Il popolo vuole mangiare? E tu gli vendi le porcherie fino a farlo scoppiare.
Il popolo vuole le canzonette? E tu gli vendi qualche chilo di ritornelli da canticchiare sotto la doccia.
Il popolo vuole gli ideali? E tu gli vendi anche quelli.
Poi magari li porta a casa e non ci crede più.
Magari li butta al secchio.
Meglio! Meglio…
Così torna subito al supermercato a comprarsi le caramelle.