Fahrenheit 66

Ispirati dalla narrativa distopica di Ray Bradbury, stimolano da qualche giorno il dibattito le linee guida diramate dal Ministero della transizione ecologica per il contenimento dei consumi.

Se per Montag, indifferente alla guerra e ai costi del cherosene, era una gioia appiccare il fuoco e assistere ai libri divorati dalle fiamme, il protagonista del romanzo italiano, terrorizzato dallo spettro di un inverno lungo e rigido, sarà votato a comportamenti più virtuosi.

Dallo spegnimento dei dispositivi non essenziali alle nuove norme per la cottura della pasta, dall’ottimizzazione dei carichi elettrodomestici alla riduzione dei tempi della doccia, è copioso il fiorire di biasimi e precetti ereditati più dalle buone pratiche educative che dalle circolari ministeriali.

A generare le reazioni più scomposte il grado della discordia, ovvero l’abbassamento delle temperature dei termosifoni da venti a diciannove gradi. Misura che – secondo gli italiani – implicando l’avanzamento delle calotte polari e dei ghiacciai direttamente in soggiorno indurrebbe la glaciazione degli ambienti domestici associata a potenziali fenomeni di ipotermia.

Un effetto non auspicabile ma comunque interessante se incrociato al simbolismo e alle sacre scritture. Il diciannove è infatti il numero di verso e di capitolo nel Corano in cui l’angelo annuncia a Maria la nascita di Gesù.

E com’è nato Gesù? Al freddo e al gelo.

Ignoranti!

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Classificazione: 1 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Parola di un ipocrita

Indagando la composita sfera di parenti, amici, conoscenti, è raro scorgere persone che abbiano mai fatto ammissione della propria ipocrisia. Il quesito sorge allora spontaneo: se l’ipocrisia è tanto diffusa e radicata, perché ostracizzarla? Perché non annoverarla tra le sane manifestazioni dell’animo umano? Ha davvero senso indignarsi, dissimulare, se nessuno può dirsi immune? Passaggio obbligatorio…

La Putin Doll

La Putin Doll è una linea di bambole tutte simili, interscambiabili negli abiti e nei ruoli, commercializzata da Mattel Corporation  e ideata sul modello di una partigiana filorussa. Con accessori vendibili separatamente, è – secondo le contingenze – interscambiale con tratti identitari della politica filopalestinese, filoiraniana, filosiriana. Per venire incontro alla clientela più esigente, non ha…

Rutti

Abituati come siamo a esaltare l’autoreferenza di frettolosi interpreti digitali, abbiamo a tal punto smarrito la misura dell’arte da licenziare come stolto egocentrico uno dei più abili e corrosivi autori presenti sulla scena italiana. Autore di composizioni sopraffine e di scazzi memorabili, ha da solo nobilitato l’ultimo concerto del Primo maggio lanciando strali contro la…

Giorgia Beach Porty

Con l’estate addosso e un mese già passato, la peggior classe politica della storia repubblicana, combinata alla peggior legge elettorale di sempre, non poteva che partorire una competizione imbarazzante.

Condizione tuttavia naturale per un paese all’ultima spiaggia. Pardon, l’ultima beach.

A tal punto surreale che Giorgia Meloni, a definizione di una grottesca strategia comunicativa, a tratti sguaiata, oggi interpreta la novità.

Giorgia Meloni ha tuttavia un merito: essersi rivelata più scaltra di Matteo Salvini, immune ai deliri di onnipotenza che avevano caratterizzato l’ascesa del segretario leghista. Uno scomodo inquilino dal quale dovrà tuttavia schermirsi nell’anelata  sua – di Salvini –  prospettiva di un reincarico al Ministero dell’Interno.

Perché se da un verso è pacifico che Giorgia Meloni vincerà le elezioni, parimenti futuribile è il suo rapido logoramento, spinto da chi, nell’appannato ricordo di aperitivi balneari, piange il consenso perduto.

Nel frattempo, prima che il vento si porti via tutto e che settembre ci porti una strana felicità, o un’ ordinaria mestizia, Giorgia coltiva il suo orto: le bollette, la crisi energetica, gli sbarchi, i clandestini, gli stupri, le droghe, il blocco navale, i mari, i porti, i party.

Congedando cupe nostalgie cameratesche, assicura temeraria il suo impegno, la sua grinta, la sua presenza. Un’epifania celebrata dagli scaramantici nelle liriche del Robertetti.

Se anche il mondo dovesse esplodere, mi troverai qui.
Anche se dovesse scoppiare una guerra mondiale, tu mi troverai qui.
Anche se dovesse diffondersi dappertutto un’epidemia mortale, tu mi troverai qui.


A portare sfiga.

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Classificazione: 1 su 5.
  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

Cioccolato e Cremlino

E’ tempo di alzare bandiera bianca. Le ultime mosse da scacchista di Putin hanno improvvisamente rivelato le difficoltà dell’occidente e ridisegnato gli equilibri in seno all’Alleanza Atlantica. L’annunciata partenza di Pupo alla volta di Mosca, la scelta di andare in trincea, la promessa di un nuovo contributo al dialogo tra fratelli russi e fratelli ucraini,…

la lotta amata

Se il sonno della ragione genera mostri, cade in queste ore opportuno il caso di Donatella Di Cesare, filosofa e discussa editorialista della vivace agorà d’Italia. Espressione di una linea intellettuale riuscita nell’impresa di rendere ostile la sinistra anche a chi alla sinistra si sente idealmente affine, Donatella Di Cesare balza agli onori per il…

Non è un giorno da dimenticare

Sono le ore 00:59, un folto assiepamento di giornalisti e simpatizzanti accoglie Alessandra Todde, nuova presidente della regione Sardegna. Un banchetto frettolosamente allestito davanti alla sede raccoglie le sue prime dichiarazioni. Doveva essere un normale scrutinio elettorale, di quelli che a metà pomeriggio la gente s’incontra al bar e si prende per il culo imputandosi…

Possibili scemari

E’ andata com’era previsto che andasse, con  l’affermazione della Lega, l’arretramento del movimento cinquestelle, cannibalizzato da Matteo Salvini,  il mancato sfondamento dei partiti populisti.

Ma facciamo un passo indietro. Stadio Giuseppe Meazza di San Siro, ore 22:18, minuto 81: percussione di Vecino,  la palla respinta dal palo cade sul piede di  Nainggolan, che di prima intenzione calcia e spinge la palla in rete. L’Inter è in Champion’s League.

ore 23.00. Segretari e presidenti hanno ormai  riposto scatoloni e matite; in un’atmosfera estenuata ha inizio uno scrutinio che non darà ai sovranisti la maggioranza auspicata, né scardinerà gli equilibri tradizionali, anche se in Italia,  nonostante le dichiarazioni prudenziali e le rassicurazioni  del ministro dell’interno, ridefinirà i millesimi condominiali.

Se la cronaca di questi giorni fosse un romanzo, il narratore lo ambienterebbe nella centrale via Italia, dove il condomino del terzo piano, moroso di 49 mensilità, seduce  la giovane ereditiera del primo, si fa ospitare, la frequenta e, dopo averle sottratto ogni avere, prima la ricatta, poi l’abbandona.

I profili di politica interna non devono tuttavia distrarre dal dettaglio che si votava per le europee, ed essendo la politica un fenomeno liquido, più complesso della retorica salviniana, si spiega il reciproco entusiasmo di soggetti appartenenti a schieramenti contrapposti.  La vittoria nazionale di Salvini, per farla breve,  è una sconfitta in Europa, e la scelta deliberata di allontanare l’Italia dalla sua collocazione naturale, coinvolgendola  in una gang bang sovranista con Polonia, Francia lepenista e Regno Unito,   condannerà il nostro paese alla marginalità.

Quali scenari allora? Tenendo conto del disincanto dell’elettorato pentastellato, e del mutato orientamento generale, le prospettive sono due:

La Lega, forte della sua affermazione,  ai limiti della circonvenzione d’incapace, potrebbe chiedere un riequilibrio nella composizione del governo o  minacciare la crisi istituzionale agli alleati. 

Il movimento cinquestelle, dal canto suo , potrebbe cercare fortuna altrove, confidando  nei numeri parlamentari e nell’autolesionismo del  Partito Democratico, cresciuto nel dato statistico, ma non nelle preferenze. Una prospettiva, questa, che  avrebbe il vantaggio di sterilizzare la propaganda di Salvini,  revocandogli il giocatolo ministeriale,  ma,  nel contempo, condannando il PD all’estinzione.

Insomma, siccome tutti hanno qualcosa da perdere,  è ragionevole pensare che non accadrà nulla, l’avanspettacolo governativo andrà avanti. Perché Salvini dovrebbe rinunciare a un alleato tanto ingenuo e malleabile? Perché il movimento dovrebbe gettarsi tra le membra del suo antagonista naturale? Perché il Partito Democratico dovrebbe cedere alle lusinghe di una banda di sprovveduti?

Chiusa la pantomima elettorale,  con i suoi calcoli e le sue analisi, l’ordine delle cose si ricomporrà, e con illuminata devozione i fedeli  respingeranno lo spread a colpi di rosario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’analisi del vuoto

Nella confusione del voto, pelago di osservazioni spesso peregrine, emergono con ferma autorevolezza tre fattori: l’atomizzazione della sinistra, il trionfo dei cinquestelle, l’affermazione della lega.

Da politica la questione diventa adesso antropologica. Fantasticando più sulle affinità che sui programmi, l’alleanza più naturale parrebbe quella fra Lega e Cinquestelle, che sulla rottura di paradigmi consolidati hanno edificato la propria fortuna. E’ tuttavia difficile immaginare un ruolo di subalternità tra Salvini e Di Maio, il cui apostolato sembra prevalere sulle sorti di un’Italia che fino a ieri descrivevano depressa e della quale, c’è da scommettere, a breve esalteranno le virtù.

Il «Dovranno parlare con noi» di Di Battista, pur essendo un passaggio politico naturale – sarebbe un crimine emarginare i cinquestelle – è il peggior modo di avviare un dialogo, tanto più per coloro che abiurando la vergogna delle alleanze dovranno cercare consensi altrove.

Impantanata nel guado, una sinistra dilaniata dal crollo dei consensi e dai conflitti interni. Una sinistra sulla quale pende la colpa biblica di non aver intercettato i segnali del malcoltento, ma anche la colpa nobile di aver rispettato gli accordi con l’europa. E’ naturale che se la battaglia elettorale si combatte sul pianerottolo di casa, con la fascinazione assistenzialista dei cinquestelle e l’esasperazione migratoria della lega, gli spazi si riducano.

Ma c’è un’altra colpa (grave): non aver coltivato un sano  antagonismo, modellando una figura alla quale affidare l’archiviazione dell’esperienza renziana, degenerata nella persuasione che l’impopolarità del segretario, passato dalla più alta gloria alle tenebre, fosse un fenomeno sporadico.

Se neanche adesso, con le dimissioni differite di Renzi, il PD riuscirà a elaborare una sintesi, al segretario  si dovrà comunque tributare un triplo merito:

-La convocazione del congresso per una resa dei conti definitiva, senza commissariamenti;
-La collocazione del partito democratico all’opposizione, senza assistenza a un ipotetico governo Di Maio;
-La riflessione sull’affaire Pesaro, dove un candidato ricusato per indegnità dal suo stesso partito ha prevalso contro un ministro meritoriamene apprezzato.

Chiedo: in questo caso di chi è la colpa? E’ colpa della tanto vituperata politica? E’ colpa di  Renzì? E’ colpa di Berlusconi? E’ colpa di Salvini? Quando parliamo ingiuriosamente di politici – perché noi adoriamo dire che i politici sono tutti ladri – scordiamo che il politico, sovente, è la proiezione del suo elettore: uno a cui dell’Italia, della regione, della provincia, del comune, del condominio non gliele frega una beata mazza. L’importante è stare comodi, magari evandendo il fisco.

Fatta questa premessa, che quasi collima con la conclusione, penso (e già questa è una notizia) che in una legislatura claudicante, intrisa di autoreferenza e personalismi, il PD avrà una  grande opportunità. L’opposizione è l’ecosistema ideale per riflettere, per ricostruire.

Conclusa la favola dell’antisistema, sopita l’ebbrezza della vittoria, crollato l’altare della propaganda, quando orde fameliche picchieranno la porta dei vincitori per riscuotere le prebende del reddito di cittadinanza o la tassazione al 15%; quando si scoprirà che l’uscita dell’euro non si tratta in dodici ore (come assicurava la Lega),  che i trattati europei non si strappano a piacimento, gli equilibri si ribalteranno.

Ci vorrà tutta l’abilità politica e geometrica del presidente Mattarella, la sua compostezza atarassica, per comporre una crisi annunciata. Un dramma nel dramma, a poche settimane dalla morte di Ingvar Kamprad, il fondatore di Ikea. Uno che di composizioni se ne intendeva.

 


«Perdere? Vuol dire non vincere al momento giusto». [Ciriaco De Mita]

 

 


God save the In

Se la prospettiva di un’uscita dall’unione europea non lambisce l’Italia, il motivo ha un sedimento grammaticale: la [E], quinta lettera dell’alfabeto.

Senza la galeotta [E] del Grexit, nottetempo insinuatasi nell’alcova britannica, concupendo i regnanti con l’amplesso del Brexit, verosimilmente, la crasi sarebbe defunta per soffocamento.

Entrando nel merito del quesito referendario, è evidente che se le pezze al culo della Grecia stimolavano un’addomesticata inquietudine nei mercati, oltremanica, la paventata fuoriuscita della Gran Bretagna  sta sollecitando non trascurabili reazioni lassative.

Per intercettare l’influenza che quest’esito potrebbe determinare nella struttura dell’unione, analizziamo il fenomeno Brexit con il professor Thoni Hinomario, docente di diritto internazionale insegnato male, università di Nagamaki.

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[D] Intanto professore, Brexit sì o Brexit no?
[R] Indulgendo a qualche speculazione che mi sono concesso, avendo diverse proprietà in Inghilterra, direi Brexit no.

[D] Come si è arrivati al referendum?
[R]  E’ stato indetto dal primo ministro Cameron, in un momento di difficoltà, per calmare l’avanzata euroscettica all’interno del partito conservatore.

[D] Un voto favorevole degli inglesi la sorprenderebbe?
[R] No, la Gran Bretagna è maniacalmente improntata al mantenimento della propria indipendenza e del proprio ruolo di influenza. I confini inglesi sono il mondo; per loro è inconcepibile immaginarsi assoggettati a un’accolita di stati litigiosi, orpello di finte sovranità.

[D] L’uscita dall’unione, se si realizzasse, porterebbe più danni alla Gran Bretagna o all’Europa?
[R] Inequivocabilmente alla Gran Bretagna, a Londra in particolare, quale centro finanziario dell’unione. Una Gran Bretagna fuori dall’Europa darebbe inevitabilmente fiato a Francoforte o Parigi, indebolendosi.

[D] Ma gli Inglesi hanno tutto: una banca centrale, la sterlina, la regina. Cosa gli manca?
[R] Gli inglesi non vogliono essere condizionati in alcun modo da Bruxelles. Il vero tema che spinge a votare a favore del Brexit è l’immigrazione: il solo pensiero di avere qualcuno a Bruxelles che impone quote di immigrati ai differenti paesi, compresa la Gran Bretagna, terrorizza gli inglesi.

[D] Quindi la ragione latente del Brexit è l’immigrazione?
[R]  Sì. Facendo leva sulla sensibilità dei britannici, il comitato per l’uscita sostiene che potrebbe essere l’ultima occasione per la Gran Bretagna di redimersi e riprendere il controllo delle sue politiche. Un’opinione popolare anche tra i cittadini favorevoli alla permanenza, che guardano all’Europa solo in chiave di mercato comune.

[D] Quali conseguenze invece per l’Europa?
[R] Esistono almeno due terreni che andrebbero esplorati. Il primo: l’uscita di un paese come la Gran Bretagna potrebbe rappresentare un esempio per altri paesi europei insofferenti, disgregando i sogni di un’europa integrata. Il secondo: un’Europa con dentro la Gran Bretagna non si sposta di un millimetro nel disegno degli auspicati Stati Uniti d’Europa.

[D] Sta forse asserendo che il Brexit potrebbe rappresentare un’occasione favorevole per la costruzione politica dell’Europa?
[R] L’integrazione europea attualmente è ferma, in assenza di una scossa il suo rilievo potrebbe emarginarsi in sterili dibattiti burocratici,  come la lunghezza delle banane o la circonferenza dell’orifizio che dovrebbe ospitare il frutto. La mia risposta è si: il Brexit potrebbe favorire la nascita di una nuova Europa.

[D] In caso di Brexit, che ruolo interpreterebbe l’euro (la moneta, ndr)?
[R] L’euro è un progetto irreversibile, il Brexit non farebbe altro che trasformarlo nel collante di un’Europa da riprogrammare.

[D] Se la sente di azzardare una previsione sull’esito referendario?
[R] Credo che il referendum sarà respinto. Diceva Napoleone:”gli inglesi sono una nazione di bottegai, quando vanno a votare, tra il cuore e il portafoglio scelgono il portafoglio”. Per il portafoglio il Brexit sarebbe un disastro.

[D] Come avrebbe votato Churchill, l’inglese che salvò l’Europa?
[R] Sicuramente per l’uscita.

[D] Dal suo punto di vista, una città come Milén come si sarebbe pronunciata?
[R] Beaucoup, se preceduta dal dialogue.

[D] E cioè?
[R] Poba!

 


Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale. Sapevatelo!

Referendum coast to coast

 

Che l’Italia non sia un paese per fossili, come recita l’immagine in evidenza, è tutto da dimostrare: lo ha compiutamente certificato il referendum sulle trivelle, che nella sola Basilicata, regione in cui di petrolio si è parlato più per le inchieste della magistratura che per il quesito referendario, ha superato la soglia del quorum.

Non occorreva certo una lode in chiromanzia per intercettare una maggiore sensibilità tra le popolazioni dei luoghi più esposti al  rischio di contaminazioni, ma è anche vero che raramente il dibattito è stato tanto inquinato dalla disinformazione. Singolare il caso di Gerardo Greco, conduttore di Agorà, reo di aver non solo annunciato che la consultazione avrebbe riguardato sole nove regioni, ma di aver altresì connotato come notizia un suo tanto personale quanto opinabile giudizio circa il disinteresse al voto delle regioni non lambite dal mare.

Ma il mancato superamento del quorum, fenomeno tutt’altro che insolito in un paese storicamente poco incline all’indignazione, soprende fino a un certo punto; anzi non sorprende affatto.  A sorprendere è piuttosto l’irruenza con la quale è stata calpestata la dignità istuzionale, deflorata dall’esortazione al non voto di un primo ministro non eletto e, a proposito di fossili, dal presidente emerito Giorgio Napolitano, scopertosi profeta dell’astensione in una fase storica in cui la disaffezione politica non necessita di stimoli o incoraggiamenti. Certo che non votare è legittimo (sono anch’io un primatista nella disciplina del salto delle urne), ma l’esortazione promanante da due alte cariche della repubblica è riprovevole. E pensare che poco meno di una settimana fa, commemorando Gianroberto Casaleggio, anche gli avversari più ostili gli avevano riconosciuto (a Casaleggio) il merito di aver arginato con il suo movimento l’emorragia di elettori rassegnati e disillusi.

Il presidente del consiglio ha perso un’occasione. Se avesse avuto una statura istituzionale, anziché esacerbare ulteriormente gli animi convocando una conferenza stampa per smaltire le sue nevrosi premestruali, avrebbe dovuto meditare un intervento più conciliante, meno protervo, tanto più nella concomitante  veste di segretario di un partito eroso dalle correnti.  Atteggiamento poi aggravato da Carbone, il coglione non il fossile, balzato alle cronache per aver irriso il comitato promotore con un’espressione da commediola vanziniana.

Cosa accade ora? L’effetto immediato è che i trentacinque concessionari potranno proseguire le estrazioni entro le dodici miglia fino al completo esaurimento dei giacimenti; data che allo stato non può essere prevista. Verrebbe da chiedersi allora a cosa è servito assegnare un termine alla concessione.

Ma il problema concreto,  come rilevano eminenti studiosi,  è che la persistente ricerca di nuovi idrocarburi, che dovranno poi essere raffinati e bruciati, non farà altro che respingere l’allineamento del nostro paese agli obiettivi sottoscritti con l’accordo sul clima di Parigi, che prevede l’abbandono progressivo delle fonti fossili e il taglio delle emissioni inquinanti entro il 2050.

Il 2050, un anno in cui tanto di Renzi quanto dei referendum sopravviverà solo un lontano ciaone.

 

Stefano BIS-ciottu

[Speciale Elezioni]

Autocitarsi non è mai elegante, ma il 30 marzo, in un articolo pubblicato in questa bacheca,  ho scritto: “La lettera con la quale il sindaco Pisciottu ha salutato la cittadinanza, magnificando i risultati del suo mandato amministrativo, insuffla la disinvoltura di chi si allontana da casa premurandosi che gli venga lasciata la chiave sotto il tappeto; quindi sapendo che a casa ci tornerà.”

E’ così è stato. Accompagnato dal concerto grosso in Do minore, Stefano Pisciottu è tornato a casa, forte di un consenso plebiscitario che ha frantumato le ambizioni della lista guidata da Angela Antona, elettoralmente troppo sterile per intimorire un politico della sua caratura.

Ma sarebbe intellettualmente disonesto imputare il magro bilancio della candidata Antona al peccato originale di non essere teresina; fattore comunque meritevole di analisi. In questo, anche le urla sguaiate di chi nell’ultimo segmento comiziale reclamava la sollevazione contro lo straniero sceso dal limbara, apparteneva più alla commedia napoletana che alla degna chiusura di una campagna elettorale. Un discorso che varrà almeno fino a quando le carte non dimostreranno l’esistenza di un piano militare per l’annessione di Santa Teresa all’impero austro-tempiese.

Tuttavia, affermare che la sua terra natìa  non costituisse un problema dal punto di vista morale e  amministrativo, non preclude la critica del deragliamento strategico. Difatti, spostando l’asse sulla meccanica del marketing politico, che una candidata proveniente da un altro comune sarebbe stata accolta con diffidenza era prevedibile. Per quanto intrisa di prestigio accademico, agli occhi di molti (troppi) la dottoressa Antona è ancora una sconosciuta. In un’audace reinterpretazione del ritratto di Dorian Gray,  è il volto che resiste nei manifesti elettorali di una consultazione già archiviata. Tanto basta ad affermare che  qualche leggerezza nella scelta del candidato  è stata commessa; leggerezza tanto più eclatante se consumata contro un abile tessitore delle relazioni umane come il rieletto sindaco uscente.

Poi, se alle valutazioni predette si aggiunge che alcuni rappresentanti della lista concorrente vantavano ruoli assessoriali nell’amministrazione che ha spalancato i varchi al primo mandato di Stefano Pisciottu e, scomodando il dilemma morettiano del “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”, hanno disertato le aule consigliari per cinque anni,  non occorre avventurarsi in raffinati sofismi per inquadrare il voto in una dimensione più razionale.

E’ tenendo conto di questo infausto precedente che gli occhi saranno ora puntati sul consiglio di minoranza, il quale oltre a onorare il ruolo istituzionale,  dovrà gettare le basi per la strutturazione di un’alternativa da proporre a scadenza del mandato. Il tempo, l’impegno e le iniziative dei singoli dimostreranno quanto fossero convinte le ragioni di chi si è candidato.

Qui affiora il secondo errore della dottoressa Antona: il ripudio dei partiti, da lei retrocessi a metastasi sociale. La libertà dei cittadini ad associarsi in partiti per concorrere alla determinazione della politica, come recita la costituzione, non è un’onta, bensì un autorevole strumento a supporto della politica; un ambiente in cui l’iniziativa viene stimolata, discussa e organizzata, favorendo nel contempo la salutare ossigenazione della classe dirigente.

A questo riguardo, declinando l’adagio secondo cui nel lungo periodo saremo tutti morti, sono persuaso che la trascorsa tornata elettorale  passerà agli annali, oltre che per il clamore del risultato, per il deciso cambio di passo nella composizione delle liste.  E sono certo che in un futuro neanche troppo lontano, uno di quei nomi – compreso chi rifiutando il prestigio di una ricandidatura rinnoverà il proprio impegno – sarà quello del primo cittadino. Sarà demandato a Stefano Pisciottu  l’onere, e inscindibilmente l’onore,  di accompagnare questa  transizione, memore di quel lontano 1995, quando il giovane candidato era lui.

La tendenza, a onor del vero, era già stata inaugurata nella precedente legislatura, ma stavolta assume contorni più netti, perché le preferenze accordate ai giovani hanno assunto proporzioni a tratti bulgare, e il sindaco non potrà non tenerne conto. Sposto l’attenzione su due casi: Paolo Sardo (231 preferenze), politicamente più maturo di quanto  certifichi l’estratto anagrafico,  e Tiziana Cirotto (600 preferenze), per la quale oltre alla conferma delle deleghe in materia socio-assistenziale e la nomina a vice-sindaco, è previsto una viaggio premio in Corea del Nord, alla corte di Kim Jong-un, un personaggetto che con i plebisciti ha un buon rapporto. E’ certamente vero – come i detrattori si ostinano a ripetere – che la doppia preferenza ha favorito quei numeri, ma è altrettanto vero che pur dimezzandoli rappresenterebbero per Tiziana un successo personale devastante. E in ogni caso, la doppia preferenza c’era anche per gli altri.

Un consenso così esteso, tanto per la lista vincente quanto per il singolo candidato,  costituisce patrimonio democratico inestimabile; un efficace anticorpo contro ogni insinuazione. Con margini così ampi, nessuno potrà mai gravare di eccessiva importanza il proprio contributo, adoperandolo come un grimaldello per indebolire l’eletto.

In questa nuova alba, immagino un progetto nuovo, fatto di impegno e di partecipazione, anche attraverso la programmazione di seminari in cui, avvalendosi di esperienze provenienti da altre realtà territoriali (per profilo culturale, esperienza amministrativa e capacità comunicativa, un nome potrebbe essere Emiliano Deiana, sindaco di Bortigiadas), i futuri amministratori vengano coinvolti, appassionati, formati.

Accomiatandomi da questo giocosa cronaca elettorale, rammento agli umiliati e agli offesi che l’umorismo è catartico, io lo intendo così. Pertanto, in attesa che si sopisca il retorico richiamo al senso civico e al rispetto per l’avversario ferito, decisamente fuori luogo dopo che negli ultimi giorni l’esacerbazione degli animi ha rasentato profili di interesse penale, mi auguro che lo spirito collaborativo prevalga in un paese che di tutto può permettersi eccetto la disgregazione.

Santa Teresa è il paese che amo.

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scripta manent

Pi2Pi1

Ankara a ventu [speciale elezioni]

L’inaugurazione dei venti giorni di passione che ci separano dalle prossime consultazioni elettorali, apre un dibattito già depresso dalla scelta aprioristica degli elettori, che l’intenzione di pendere per l’uno o l’altro schieramento l’hanno manifestata ancor prima della formalizzazione delle candidature. La filosofia sui programmi è invece sintomo di tanto radicate quanto banali convenzioni,  che se destano poco interesse negli attori immaginiamo quale trasporto empatico infondano negli elettori.

Attraverso una lettura sommaria, si ha la  pervasiva sensazione che servendoci l’illusione di assurgere a custodi della democrazia,  i candidati vogliano ammantarci di una gloria quasi eroica. Ma più che le gesta epiche narrate dagli affabulatori medievali, questa seduzione sembra evocare le infauste compressioni esercitate dai sostenitori della longobarda  sull’apparato riproduttivo di Oronzo Canà.

Ma dovremo attendere qualche mese per capire se, edulcorando le sofferte diagnosi di Canà,  siamo stati presi per  minus habens o siamo stati effettivamente degli eroi.

Premessa la mia indipendenza  politica e la scelta consapevole di non votare alcuna delle liste ufficiali – nota essenziale per diradare morbose nubi dietrologiche – mi sono avventurato alla ricerca di una sintesi anche comparativa delle intenzioni manifestate dai due contendenti, persone – in entrambi i casi – degne e di specchiata onestà.

E’ naturale che l’iniziativa della  capolista Angela Antona (lista n.1 cara a ventu), vuoi per il fatto di non essere residente teresina,  vuoi per il prestigio della sua specializzazione professionale, desti maggiore  curiosità rispetto  alla rinnovata lista n. 2 (Lungoni adesso), capeggiata dal sindaco uscente Stefano Ilario Pisciottu. Ma è altrettanto vero che il noviziato elettorale dell’illustre archeologa emerge con tutti i suoi limiti e le sue carenze nella stesura degli obbiettivi, a tratti più generici di alcune categorie farmacologiche. Quando annuncia la creazione di precise regole per la vendita ambulante, se appartenessi al settore, Le chiederei: quali sono queste regole? Perché non sono enunciate? Se nessuno mi pone al corrente, come posso sottoscriverle? Oppure la supercazzola sull’ urbanistica, quando si afferma che è il momento di avviare studi seri sulle peculiarità di tutto il territorio e di applicare regole certe che rendano possibile la fruizione secondo criteri di giustizia e di equità sociale. Benissimo! Ma in concreto cosa significa? Frasi vacue sparse qua e là.

Una valida alternativa elettorale si costruisce di pari passo con l’azione amministrativa, giorno per giorno, non pochi mesi prima delle elezioni. Nel corso di questo arco temporale, un’opposizione matura deve monitorare le iniziative della maggioranza, eventualmente incidere per emendarle, ma deve anche per studiare, organizzare laboratori e formulare proposte, eludendo il naufragio in un mare di “sosterremo” e “ci impegneremo“, tipico della grammatica politica.

Da questo punto di vista, il manifesto pisciottiano – che presenta una struttura più elegante e definita – si fa  preferire,  agevolato anche dalla condizione dell’ amministratore uscente, dove la prospettiva delle cose realizzate avvantaggia  la pianificazione dei nuovi propositi. Ma, sia chiaro, questo non significa aver già vinto; tanto più se certi sostenitori – privi di merito politico e intellettuale – continuano a circolare a piede libero, annunciando trionfi epocali.

In termini comparativi, se si eccepisce l’impegno alla realizzazione di aree di arrampicata a mani libere su superfici rocciose (lista n. 2), delle quali evidentemente si avvertiva la mancanza (non vorrei che qualcuno avesse confuso la marmorata con la marmolada), non figura un obbiettivo eclatante capace di transumare i consensi dell’una o dell’altra parte. Una delle poche eccezioni, per quanto formulate in modo vago è la destinazione dell’Esit: Antona, proponendo la perequazione, vorrebbe aprire una trattativa con i proprietari di una struttura caduta in disgrazia; Pisciottu, ritenendo esaurita la funzione della struttura, vorrebbe insistere sul recupero dell’area attraverso la procedura espropriativa.

Di  trasversale interesse, anche se non è chiara l’eventuale copertura finanziaria (esiste un progetto regionale in questo senso) è la materia delle politiche socio-sanitarie, che prevede l’istituzione di un presidio che valichi l’insufficienza del primo soccorso e garantisca l’allargamento dei servizi extraospedalieri.

La grande delusione – e  non mi sorprende –  è il turismo, la principale risorsa economica del paese. Da troppo tempo si preconizzano progetti strategici di sviluppo; da troppo tempo si elaborano campagne di marketing sconclusionate; da troppo tempo si evoca il potenziamento dell’offerta; con la conseguenza che da troppo tempo questo paese ha ceduto il primato che gli compete. Non nascondiamo la testa sotto la sabbia. Santa Teresa, almeno da quel punto di vista, non ha figure professionali adeguate. In  campagna elettorale il termine più  ricorrente – secondo solo alla locuzione: “glielo dai il voto a…” – è “giovane”. Tutti dicono di credere nei giovani, di volerli.  E allora dimostratelo!  Individuate un’amministrazione italiana o estera in cui la gestione del turismo funzioni, stringete con essa un accordo di cooperazione e promuovete un’affiancamento attraverso il quale formare una classe dirigente specializzata.

I giovani, appunto. A tal riguardo, il solco tra le due liste è profondo, direi invalicabile. Mentre da una parte (Lungoni Adesso) si punta sugli scambi interculturali, sul finanziamento di viaggi all’estero, sull’associazionismo, sugli scambi umani, artistici e culturali; dall’altra parte (a cara a ventu),  si accoglie una rappresentazione grigia, quasi patologica, della gioventù. Un giovane che si avvicina alla politica, fenomeno raro quanto le  apparizioni della madonna di Fatima, consultando un documento elettorale – probabilmente – immagina  un calderone fumante di espressioni artistiche, concerti, Wi-Fi, internet. E invece, alla voce giovani,  a cara a ventu  propone l’individuazione di un edificio da adibire a luogo d’incontro per adolescenti dove potranno essere seguiti da operatori o volontari del servizio civile in una struttura polivalente in cui si programmeranno incontri con psicologi, medici, manager, docenti. Praticamente, un residuo manicomiale scampato alla legge Basaglia.

Roba che se non ti chiami Benjamin Button, un documento di questo tipo puoi sottoscriverlo solo dopo la quindicesima birra, prima no. Mi rifiuto di credere che un nato negli anni ottanta o novanta possa riconoscersi in esso. Mia nonna, di anni ottantatré, a confronto è Mario Balotelli.

Essere giovani, non solo nella freschezza anagrafica, significa essere curiosi, dinamici, partecipativi. Puntiamo con forza sull’istruzione, sulla cultura, sulla lingua inglese, sui viaggi. Promuoviamo gli scambi, stringiamo gemellaggi con altre realtà, con altre città, magari europee, magari turche, magari Ankara.

L’australiano [speciale elezioni]

Occhiali spessi da pentapartito, occhio azzurro e tagliente, gobba da consumato stratega democristiano. Così si presenta all’incontro Paolo Sardo, reduce da una notte insonne, dopo le polemiche degli ultimi giorni.

[D] Paolo Sardo, prima di dare corso all’intervista, la redazione Le ha preparato una sorpresa. Vuole vederla?
[R] Si, sono molto curioso.

Paolo Sardo, 26 anni, teresino, figlio di papà Michele, commerciante, e mamma Marcella, cuoca. Brusco e cordiale, misurato e demagogo, irrequieto e riflessivo. Di privato in lui non c’è quasi nulla.

Già alle elementari si intuisce che non sarà una persona comune. In prima, durante un’ uscita con i compagni di classe e la maestra, va a mangiare una pizza, cade e si provoca una distorsione alla colonna vertebrale che minaccia di tenerlo fuori fino al termine dell’anno scolastico. Per i compagnetti è un eroe, per il padre è una caduta doppia come la libidine con i fiocchi di Jerry Calà. Folgorato dal successo del film Titanic, e dal fascino casereccio di Leonardo Di Caprio, decide di farsi biondo, ma la famiglia lo osteggia e in lui monta il rancore. In un giorno apparentemente comune, a soli otto anni, si allontana  da casa, volgendo verso il campetto di Ziruddu e affidando le sue volontà a una lettera sconcertante: “ciao, io me ne ando, perché non mi fare i capeli biodi”.

Inizia la ricerca di Rose, teorizza l’amore tra differenti classi sociali, ma incontra soltanto Giandomenico Ziruddu, che lo riporta a casa nonostante la resistenza del fratello Pierpaolo, secondo il quale ” era andendi be’!”. La passione crescente per il mare lo porta a La Maddalena, maturità all’istituto nautico Millelire. E’ tra le aule che nasce la passione politica: milita nel fronte della gioventù, teorizza lo scontro frontale,  resiste a tutti e a tutto, passando attraverso scissioni e tentati golpi interni, ma ne esce sempre vincitore. Sembra destinato a una carriera folgorante, ma a rimanere folgorato è il suo cuore. Si innamora, non capisce più un cazzo, perde i capelli, cambia taglio e si rigenera all’ombra degli ideali di sinistra. Forum dei giovani, associazionismo e relazioni sociali i suoi fiori all’occhiello, ma è anche batterista, promessa del calcio e seduttore seriale. Nel duemiladieci si iscrive al PD e coordina la campagna elettorale di Bersani per le primarie contro Renzi. Bersani vince ma è l’inizio di un calvario (il monte, non l’imbarcato). Privo di maggioranza, non riesce a costituire il governo; perde la guida del partito; colpito da ictus, lotta tra la vita e la morte; Renzi diventa segretario prima e presidente del consiglio poi, consolidando un primato inimmaginabile pochi mesi prima. Alla proposta di coordinare la sua campagna elettorale, Stefano Pisciottu gli ha risposto: “tranquillo, faccio da solo”.

Nel duemilatredici inizia la corsa verso un nuovo continente e si imbarca per l’Australia. La sua avventura inizia il 12 novembre a Brinsabane. Dicevano che avrebbe mollato, invece è ancora lì. Confermando le sue doti di amatore, conosce Yuko, una giovane ragazza giapponese. Si innamora, inaugura una nuova telenovela sentimentale, ma stavolta non cambia partito; anzi, rilancia e si candida alle elezioni comunali di Santa Teresa Gallura. I suoi nemici vociferano che sia rientrato per interesse; i suoi amici lo difendono e dicono: “è una novità assoluta”. Secondo i  sondaggi, con lui Pisciottu ha la vittoria in mano.

[D] Buongiorno, Paolo Sardo.
[R] Buongiorno.

D] Partiamo da quest’ultima considerazione: con lei Pisciottu ha la vittoria in mano?
[R] Ecco, questo non credo (cit.)

[D] Da quanti anni viaggia e trascorre parte della sua vita in Australia?
[R] Dal novembre 2013, anche se non sono stato sempre in Australia.

[D] Secondo un famigerato quotidiano, particolarmente diffuso a casa di Bruno Fadda, Lei sarebbe rientrato dall’Australia per accettare l’offerta di una candidatura poco trasparente. Cosa c’è di vero?
[R] Assolutamente niente, io sto rientrando principalmente perché insieme ad altri tre soci intendiamo prendere un chiosco in gestione. Avevo già ricevuto una precedente richiesta di candidatura durante l’ultima riunione di partito, prima della mia partenza. Si sapeva che in caso di un mio rientro mi sarei schierato a sinistra.

[D] Si vocifera che i suoi trasferimenti aerei siano finanziati dal clan dei marsigliesi. Lo conferma?
[R] [ride] Certo, ho una valigia piena di sapone che lo conferma.

[D] Il direttore Fadda, trincerandosi dietro un semplicistico “si vocifera“, insinua che l’eventuale vittoria di Stefano Pisciottu Le garantirà un’occupazione annuale. Esiste veramente una contropartita per il suo rientro?
[R] Faccio parte del PD dal 2010, ho portato avanti come coordinatore la campagna per le primarie a favore di Bersani. Se avessi voluto qualcosa in cambio, l’avrei chiesta tempo addietro.

[D] Come ha reagito quando ha appreso la notizia?
[R] Inizialmente ho pensato si trattasse di uno scherzo, poi mi sono ricordato chi fosse l’autore. Ora dice di non aver scritto niente di offensivo nei miei confronti, e lo capisco, per lui non è un’ offesa dire che mi candido per una contropartita, per lui questa è politica di alta scuola. E ora è meglio che mi fermi!

[D] Un giornalista non dovrebbe assumersi la responsabilità di quello che scrive?
[R] Certo, ma forse dovremmo vedere le cose da un altro punto di vista. Lui non è un giornalista, e l’ordine dei ciattuloni non è stato ancora costituito.

[D]  Possiamo dire che certo giornalismo sia come il mare d’inverno, ovvero un concetto che il pensiero non considera?
[R] Potrebbe essere visto in questa maniera.

[D] Diffamare le persone, sostenendo  poi che “ in campagna elettorale se ne sentono di cotte e di crude“  non è uno strumento disonesto e fuorviante?
[R] Credo proprio di si, ci sono le voci e i fatti. Le voci, per quanto mi riguarda, sono aria fritta, con i fatti la situazione è ben diversa.

[D] Adoperando lo stesso strumento,  ha mai sentito vociferare qualcosa sul direttore Fadda? Tanto siamo in campagna elettorale, e Lei sa che in campagna elettorale se ne sentono di cotte e di crude.
[R] Gli piace scrivere dopo sedute di campari; almeno cosi dicono. Ora faccio un po’ il Razzi e ti dico: “beh! io non credo!”

[D] Secondo Lei Bruno Fadda si inventa le notizie?
[R] Diciamo che il signor Fadda ama sguazzare nel sentito dire, però non quando si tratta di amici.

[D] chi è Bruno Fadda?
[R] Una persona che ha sbagliato e di conseguenza ha pagato; in ogni caso, le persone come lui hanno portato la politica distante dal popolo e dagli onesti.

[D] Che opinione ha di lui?
[R] E’ una vecchia volpe.

[D] Perché ha scritto quelle cose sul suo conto?
[R] Lui poteva anche scrivere sul mio conto, so perfettamente che la mia famiglia era orientata a destra, lo è da sempre. Saltuariamente, ho anche dovuto saltare qualche pasto a causa dei litigi di matrice politica. Però scriva la verità; sono iscritto al PD da cinque anni, non da ieri.

[D] Da quanti anni frequenta l’Australia?
Due anni. Il primo bacio è stato orribile, un uomo che mi dava una “mazza” per la raccolta del mango. Lì ho capito quanto era dura la vita degli schiavi.

[D] Secondo CairnsDiGalluraOnline, popolare quotidiano del Queensland, Lei si sarebbe deciso a partire in Australia per accettare l’offerta di una candidatura che le avrebbe garantito lavoro per  un certo numero di mesi. Smentisce anche questa versione?
[R] Mi hanno offerto un posto in un barca chiamata Marco Polo, ma ho rifiutato.

[D] In Australia cosa pensano di Bruna Fadda?
[R] Non pensano…

[D] La sua candidatura nella lista di Stefano Pisciottu ha prevedibilmente generato malumori nella lista concorrente e in famiglia. E’ stata una scelta sofferta?
[R] Molto, non volevamo rendere questa storia pubblica non per pre-tattica, ma perché volevo essere io a informare i miei familiari.

[D] Chi ha reagito peggio?
[R] Mio zio, ma era normale. Lui pensa che la sua lista sia buona, io penso tutto l’opposto. Spero che un giorno capirà le mie motivazioni.

[D] Quale punto programmatico della lista Pisciottu ha trovato più convincente? Faccia finta di conoscerlo.
[R] Lo conosco. Mi piace molto la parte che parla del turismo Eco-sostenibile; qui ho viaggiato abbastanza e Le posso assicurare che applicando le ricette che ci sono qui, probabilmente, potremmo allungare la stagione e consegnare ai giovani un lavoro come si deve.

[D] Fra i candidati della sua lista, c’è qualche figura che direttamente o indirettamente le è poco gradita?
[R] [ride] Si, Andrea Ogno. Troppo estremista per i miei gusti, sopratutto quando parla di juve.

[D] Fossi al suo posto, su questo tema, farei meno lo spiritoso. Con quali misure intende stimolare le politiche giovanili?
[R] Innanzitutto facendo sentire i giovani al centro del progetto politico. Bisogna anche concedergli strumenti adeguati per affrontare il mondo del lavoro, con dei corsi specializzati sul turismo. Occorre creare delle figure competenti in questo ambito, perché noi viviamo da quello. Poi, da buon comunista, penso che le cooperative siano un bene, per dare ai giovani la possibilità di crearsi un lavoro.

[D] Se Doddie dovesse conseguire un discreto risultato elettorale, in caso di vittoria, sarà un suo interlocutore?
[R] La mia stima per Doddie è sconfinata. Oltre a essere un vero “cranio”, si tratta anche di un amico vero.

[D]  Ha ascolta l’inno “Lungoni ormai non c’è più” che accompagnerà la campagna elettorale di Lista Nostra?
[R] Si, molto bello. Ci potete aggiungere chi trova un lavoro di un anno intero.

[D] Conosce il delegato uscente Andrea Cossu?
[R] Certo, eravamo insieme nel forum dei giovani; diciamo che lui è stato un po’ il mio mentore.

[D] Tranquillo, ci sono cose peggiori. Ha qualcosa da contestare alla sua azione amministrativa?
[R] Si, poco tecnologico, ma Andrea è cosi. Con qualche accortezza comunicativa, molte altre persone avrebbero avuto conoscenza di quanto ha lavorato.

[D] Un’amministrazione seria come dovrebbe sviluppare le politiche turistiche? Sia specifico, non si esprima con espressioni vacue e democristiane, con me non funzionano.
[R] Di certo non deve utilizzare il motto: noi abbiamo il mare.

[D] Conosce la dottoressa Antona, capolista della lista civica a Lei avversa?
[R] Di fama. Una volta con il forum, nell’ambito del progetto Andrea Quiliquini, cercammo di contattarla, ma non fu reperibile. Se non ricordo male doveva rintracciarla Paoletta.

[D] Ci ha detto di essere iscritto al PD, chi è il suo segretario locale?
[R] Gianni Godelmoni.

[D] Cos’ha fatto il PD teresino per i giovani?
[R] Il PD deve stare fuori dal forum dei giovani come tutti gli altri partiti. Questo l’ha fatto e anche bene.

[D] Durante l’amministrazione Pisciottu, Antonio Alvau è partito in America, Cristian Secci in Asia, Lei in Australia. In compenso, ci siamo tenuti zio Peppe, Domenico Borrielli e Mario Ciboddo. Cos’abbiamo sbagliato?
[R] [ride] Siete coscienti di aver tenuto i pezzi migliori.

[D] Cosa manca a Santa Teresa?
[R] Idee.

[D] Quanto è importante la cultura nell’amministrazione di un paese?
[R] Moltissimo

[D] Lei si definisce colto?
[R] Certo, ma so perfettamente che la cultura non è mai abbastanza.

[D] Facciamo una prova: assegni la paternità intellettuale a queste frasi:

[1] Purtroppo a essere buoni la si prende sempre in culo da oggi cambio divento veramente un bastardo venirmi a dire uno che mi a fatto un lavoro alla cazzo di cane che le ho detto io che la fatto male mi a detto che e un pretesto x nn pagarlo e mi a detto di essere un ebreo x quanto son tirchio tu sarai ebreo li mortacci sua!
[R] Paolo Doro [ride]

[2] Imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.
[R] E’ di un tipo a cui piaceva il nepente.

[3] Vuoi saltare gli ostacoli più li eviti e più sono li e se no li cerchi sono loro che ti cercano…per me sono tutti caga sotto e sinceramente della vita non avete capito un cazzo…
[R] Questa mi e’ sconosciuta!

[D] A me pare che non le sia sconosciuta solo questa: la prima è di Mario Ciboddo, la seconda è di D’annunzio, la terza è della buonanima di Paolo Doro. Andiamo avanti: le piace Matteo Renzi?
[R] Deve passare ai fatti!

[D] Cosa ne pensa dello scandalo Expo-tessere del PD?
[R] Una buffonata che ci costerà cara.

[D] A questo riguardo, il sito satirico Kotiomkin.it si chiede se si tratti di corruzione, ricettazione, bagarinaggio o circonvenzione d’incapace. Secondo Lei?
[R] [ride] Bagarinaggio!

[D] In questi giorni, dopo la pronuncia della corte di Strasburgo, è riemersa la questione di Carlo Giuliano, e di riflesso il dibattito manicheo sullo scontro tra forze dell’ordine e manifestanti. Lei generalmente da che parte sta?
[R] Nel mezzo! Assaltare una camionetta in trenta e pensare pure che un uomo armato al suo interno non ti spari è un’idiozia. Per la macelleria messicana la storia cambia, quelli andrebbero puniti severamente.

[D] E’ l’orientamento della corte. Ma torniamo all’Australia: quanto tempo ha impiegato a trovare lavoro?
[R] La prima volta venticinque giorni, la seconda quasi un mese.

[D] E’ un classico: la seconda dura sempre di più. Ci tornerà?
[R] Non penso. Ho ancora molti posti da vedere.

[D] In caso di elezione, come pensa di coniugare l’impegno amministrativo e il desiderio di tornare nel Queensland?
[R] Non potrei tornare, comunque il mio secondo visto scade a novembre.

[D] Sembra una minaccia per gli australiani. E’ fidanzato?
[R] Se perdo ancora tempo in questa intervista no. Fra tre ore ho l’aereo per Tokyo.

[D] Come ha conosciuto Yuko, la sua attuale compagna?
[R] A una cena tra amici.

[D] Anche Yuko è un attivista politica?
[R] Si, dello yoga.

[D] Come la vedrebbe in una lista “Osaka Adesso”?
[R] [ride] Molto bene!

[D] Si vocifera (me lo ha detto Bruno Fadda) che vorrebbe investire in Australia, è vero?
[R] No!

[D] In Australia che opinione hanno degli italiani sui temi etici? Sull’omosessualità, per esempio.
[R] Non gliene frega niente… i loro nemici sono gli aborigeni, come se non gli avessero inculato la terra.

[D] Si scagliano sugli aborigeni perché non conoscono Gasparri. Le piace Papa Francesco?
[R] Borrielli mi ha detto che di Anticristo si tratta… io lo ammiro.

[D] Anch’io ammiro Borrielli. Crede in Dio?
[R] Si, ma non nelle istituzioni come la chiesa.

[D] E’ favorevole alla manipolazione genetica?
[R] No!

[D] E’ per effetto della manipolazione genetica che nell’articolo di Bruno Fadda, in un intervallo di poche righe, suo padre Michele Sardo diventa Michele Frassetto?
[R] [ride] Così si vocifera.

[D] Andrea Cossu ha ammesso di aver pensato al suicidio tre o quattro volte. Lei?
[R] Qualche volta, come tutti.

[D] Ha paura della morte?
[R] Cazzo, se ho paura…

[D] Si vocifera che l’intervista sia finita.
[R] Si vocifera che ho perso l’aereo.

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