Parola di un ipocrita

Indagando la composita sfera di parenti, amici, conoscenti, è raro scorgere persone che abbiano mai fatto ammissione della propria ipocrisia.

Il quesito sorge allora spontaneo: se l’ipocrisia è tanto diffusa e radicata, perché ostracizzarla? Perché non annoverarla tra le sane manifestazioni dell’animo umano? Ha davvero senso indignarsi, dissimulare, se nessuno può dirsi immune?

Passaggio obbligatorio per accreditarsi in società, negli ambienti ludici e professionali, ogni occasione è legittima per stigmatizzarla.

I tratti distintivi sono ben definiti: si ripete nel tempo e riguarda sempre gli altri, mai l’interlocutore. Nel paradigma consolidato, all’ipocrita sovente si accompagna chi, con solenne franchezza, ostenta la sua attitudine a dire le cose in faccia.

Se non conoscete nessuno che presenti queste caratteristiche, probabilmente quella persona siete voi.

A parte le deleterie ripercussioni che la vita paesana subirebbe dalla sterilizzazione dell’ipocrisia, con il suo lascito di chiacchiere e pettegolezzi, mi chiedo se non sarebbe più onesto normalizzarla, diluirla nei rapporti sociali, stabilendo una misura oltre la quale censurarla.

Una sorta di principio omeopatico applicato.

Se ammettessimo a noi stessi di essere ipocriti, verrebbe probabilmente meno la connotazione negativa che per abitudine o stanca rassegnazione attribuiamo al fenomeno.

Parola di un ipocrita.


  1. Mia nonna diceva: perché bisticciare per un pallone, non possono dargliene uno a ciuscuno?

  2. Ogni volta che mi sento. In colpa per.unz menzogna.

  3. Un partigiano come Presidente, forse il popolo non se l’è meritato…ma nemmeno Toto Cuttugno.

E se fosse solo un coglione?

Interpretando le reazioni alla nascente riforma costituzionale, ancora una volta, la sinistra sembra trascurare il celebre motto di Gibson, secondo cui prima di dare del fascista a qualcuno, sarebbe doveroso accertarsi che questi non sia solo un coglione. Un indice trascurato dal giornalista di Repubblica Matteo Pucciarelli, capace con la ricamata sua inchiesta di garantire…

Neraneve

Ha suscitato forte indignazione, nelle ultime ore, l’allusione verosimilmente rivolta al Presidente del Consiglio dall’Ingegner Roberto Salis, padre di Ilaria. Una definizione che – anche se nelle intenzioni indirizzata al Capo del Governo – non dovrebbe tuttavia indignare, essendo meno volgare dell’epiteto da Lei adottato, presentandosi, nel saluto al Presidente della Regione Campania. Un espediente…

Avanti tutti!

Per quanto poco partecipate – in Italia ha votato appena la metà degli aventi diritto -, non sono state elezioni banali. Se la Francia si affretta a ristrutturare l’arco parlamentare, se Germania e Austria dovranno studiare possibili coabitazioni con l’estrema destra, se il Belgio piange lacrime amare, in Italia l’esito elettorale può così sintetizzarsi: L’affermazione…

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Se è porno, tolgo

E niente! Faceva già ridere così. Fu l’ennesima estenuante richiesta per un amico a tradirlo. A rendere ancor più breve una storia già breve e triste. Un solo anno. Un anno di loro, semplicemente loro, che documentavano tra ricorrenze patinate, apericena e il compiacente mutismo di Romeo e Giulietta. Un anno di loro, ma anche di noi che li abbiamo sopportati. Dal buongiornissimo del mattino, quando lei gli serviva il caffè a letto, alle braccia di Morfeo, alle quali lui la affidava allo scoccare della mezzanotte.

Ma non tutte le notti sono uguali. E neanche i Morfeo. Quella notte, mentre lui era fuori per lavoro, Morfeo, che nella vita reale faceva il commesso e si chiamava Paolo, raggiunse casa sua, a mezzanotte.

Immaginate, poche ore più tardi, lo stupore del marito, rientrato in anticipo dalla riunione. Trovò la porta aperta. Evidentemente la moglie aveva dimenticato di chiuderla. Trovò gli indumenti intimi sparsi tra il divano e la scala. Evidentemente le erano scivolati. Un equivoco ansimare proveniva dalla camera da letto. Per interpretare la scena, e le simmetrie, dovette inclinare la testa e capire dove iniziasse il corpo dell’una e finisse quello dell’altro. Fu così che risalendo il corpo maschile, prima le gambe, poi la pancia, poi il viso, riconobbe Paolo. Il suo amico d’infanzia. Il suo compagno di banco. Il suo testimone di nozze. Un ragazzo umile, rimasto tale anche in quella circostanza, mentre Monica – questo il suo nome – bramosa di sperimentare nuovi piaceri, urlava: «Adoro! Sì, Paolo, sì! Muoro!

Le sorprese, quelle belle.

Come asfalto, gli eventi si stesero sulla sua esistenza, compressi dall’infinità del cazzo che a Paolo fregava dei suoi turbamenti, della sua fedeltà, della sua delusione.

Vita mia! Come hai potuto farlo? Io… Veramente… io, boh!
Amore, non è come credi, replicò lei. Lo sai che ti lovvo! Posso spiegarti tutto!
Grazie cara, anche no!

Con furia leonina, brandì il primo oggetto che gli capitò sottomano, la tastiera del computer, e si avventò senza tregua sui due amanti. Sull’uomo in particolare – della serie, Taffo spostati – non furono lievi né i colpi né la terra sotto la quale fu sepolto.

Risuonò profetico un pensiero di Paolo, secondo il quale l’umanità meritava l’estinzione. Una ricetta definitiva. Una delle tante per le quali chiedeva di essere seguito. E cosa fai, te ne privi?  ripeteva.

Niente affatto resiliente, non ancora abbandonata l’immagine dell’amico che si dimenava sul corpo della moglie, maturò la sua vendetta. Deponendo la corona, con una narrazione sconcia e dettagliata, rese edotto il quartiere dell’oltraggio subito; la dicitura post muto scorreva idealmente sulle prove del tradimento. Game set match, tutto in una notte.

Severo ma giusto, sussurrò un impiegato a cui non era mai toccata una gioia e che aveva subito un’analoga sorte. Un ciaone da manuale. Una vera inculata.

Se è porno, tolgo.

 

P.s. non è Lercio